Editoriali

EDITORIALE

Malindi International Airport, Tribunale di Milano

Tra la grande speranza di Malindi e Watamu e le uniche certezze dell'Italia

24-04-2015 di Freddie del Curatolo

Abbiamo ancora negli occhi quegli studenti esanimi a terra sul pavimento delle aule che assistevano alla loro crescita intellettuale e probabilmente morale. 
Ma noi che guardiamo al mondo d'oggi e alla spirale di follia che fa perdere di vista a chiunque i valori fondamentali dell'esistenza (non dico il senso, ma almeno assiomi trasversali e interreligiosi come rispetto, libertà, non violenza), abbiamo anche l'immagine di un imprenditore corrotto e intrallazzone come ce ne sono tanti in Italia, che uccide un magistrato, un avvocato e il suo socio nel Tribunale della Milano dell'Expo e degli apericena, e scappa indisturbato, dopo essere entrato armato nel Palazzo di Giustizia.
Probabilmente (ho pensato dopo aver superato il raccapriccio, il pensiero alla famiglia dell'avvocato trentasettenne e il dispiacere per la vita di un magistrato del calibro di Ferdinando Ciampi) perquisicono meglio i sorridenti e giuggioloni "askari" del supermercato Nakumatt di Malindi, con i loro metal detector che sembrano giocattoli ma alla fine mi beccano sempre la chiave con l'antifurto dell'automobile. 
Poi leggo che a Londra una guardia giurata si è difesa dall'accusa di non aver fatto nulla per evitare la rapina da 270 mila euro in un caveau, dicendo che la sua paga è troppo bassa per rischiare la vita.
Pensate allora alla polizia keniota, le forze speciali "Recce", accusate di essere arrivate a Garissa sette ore dopo la segnalazione, che guadagnano 200 euro al mese e sembra non abbiano preso nemmeno gli straordinari, dopo aver rischiato la vita per far fuori i terroristi che imperversavano nel college.
Tutti questi pensieri inopportuni, queste immagini ingloriose e queste dichiarazioni inevitabili. Con questo ronzio in testa bisogna andare avanti e innaffiare il nostro bel giardinetto fiorito, stando attenti che nessuno ci calpesti le margherite, mentre altrove non crescono fiori ma solo spine e funghi velenosi.
Malindi e Watamu. Il nostro orticello, la nostra casa e il lavoro che ci da da vivere, da mangiare e da aiutare questa gente che ci lascia essere ospiti. 
Ecco allora che, elaborati i lutti, si torna a considerare il futuro prossimo della destinazione turistica, quel mondo edulcorato, esotico e ricco di suggestioni che da oltre vent'anni offre ristoro e motivi a un'intera variopinta comunità: italiani, britannici, pochi tedeschi e svizzeri, tanti indiani, arabi, keniani d'ogni derivazione etnica. Oggi anche cinesi, sudafricani e qualche neofita dall'Est europeo. 
In questi ultimi giorni, spinti da comprensibili timori, amplificati dai nostri media, molti turisti che avevano prenotato per agosto, hanno già cancellato la loro preferenza. 
"Meglio farlo subito, che non c'è ancora la penale da pagare. Il Kenya ormai è un Paese a rischio" mi ha scritto un lettore. 
Come dargli torto? 
Il fatto che a Malindi e Watamu non sia mai successo nulla di collegabile alla battaglia tra Al Shabaab e Kenya, non è un'assicurazione sufficiente. Con tutti i bei luoghi del mondo da visitare.
Ma l'Africa è unica e Malindi e Watamu rimangono ancora, data la virata verso la disumanità che sta prendendo l'umanità, tra i luoghi più tranquilli del globo, dove si possa respirare aria di libertà.
A questo punto sembra inevitabile pensare che la priorità assoluta per richiamare gli impauriti e gli indecisi che verrebbero molto volentieri da queste parti, sia farli atterrare direttamente qui, senza costringerli al traffico di Mombasa, ai posti di blocco (sacrosanti e davvero importanti per la sicurezza della Contea di Kilifi) sulla strada che porta a Malindi e alla stessa strada che da anni dovrebbe essere allargata e che invece diventa sempre più pericolosa. 
Solo così si può indirizzare verso un migliomento anche la sicurezza, studiando l'afflusso e garantendo controlli nelle poche strade d'accesso (la salvezza di Malindi è data dal fatto che da nord devi passare per forza dal ponte sul fiume Sabaki, non ci sono altre strade, e da sud ovest solo dalla Mombasa-Malindi o dalla strada per lo Tsavo. Sono tre vie d'accesso non difficili da presidiare. 
Non solo, si potrebbe materializzare l'investimento da parte di nuovi tour operator mondiali che non hanno mai preso in considerazione la destinazione, perché gli hotel sono troppo distanti dallo scalo aeroportuale. Sono in tanti alla finestra, ad attendere questo evento. In sette ore, direttamente da Milano e Roma, ma anche in otto da Istanbul, e con Turkish dalla Russia, dalla Repubblica Ceca eccetera.
L'associazione turistica MWTA ha già segnalato l'aeroporto internazionale come priorità assoluta e in questi giorni è tornata a spingere verso le istituzioni, regionale e nazionale, sull'argomento.
Non sembrano esserci frenate né veti, ma bisogna risolvere le solite annose, diremmo ancestrali questioni "africane". Dispute politiche, conflitti d'interesse, precedenze e timori di perdere voti con manovre impopolari rischiano di vanificare gli ennesimi sforzi di chi è per il fare e per il "provarci" e non sta seduto solo sul fiume di deiezioni autoprodotte a criticare. Ma non c'è molto tempo, gli stanziamenti per l'allungamento della pista per fare atterrare i Boeing ci sono, ma devono essere utilizzati entro la fine di quest'anno, altrimenti potrebbero essere deviati su altri quattro progetti aeroportuali.
Urge far capire ad alcuni che l'aeroporto internazionale porterà benessere a tutti ed è l'unico sistema rimasto per scongiurare la morte del turismo e di conseguenza la perdita di lavoro e di quel po' di miglioramento apportato dal turismo nei locali in questi anni, a volte sembra più difficile che convincere i turisti che la costa del Kenya è sempre un gran bel paradiso, ed è più sicuro e sorvegliato di un tribunale del nord Italia. 

TAGS: Aeroporto MalindiMalindi internazionale

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