LUTTO
02-02-2020 di Freddie del Curatolo
Masharubu, il baffone.
Questo era il soprannome che i keniani avevano dato a Fernando Vischi, ex giostraio viareggino classe 1940, arrivato qui alla fine degli anni Ottanta come tanti di noi, sognando una vita diversa, nuova, migliore.
Allora Malindi era selvaggia e tutta fronde e fiori, piante e fogliame fitto come i suoi mustacchioni neri.
Oggi se ci sono anche ville, piscine, camere d'hotel e residence è anche un po' merito suo.
Fernando Masharubu era un ometto tondo e saltellante con gli occhi vispi come quelli di un artista circense. La sua anima da burattinaio toscano lo faceva sembrare una sorta di fratello minore e meno dispotico del Mangiafuoco di Collodi.
All’inizio della sua avventura africana sbarcava il lunario creando qualsiasi cosa e spacciandone altre per create da lui: braccialetti portafortuna, coprilampada antichi, soprammobili probabili e improbabili e via dicendo.
Nelle feste mondane della prima Malindi italiana il suo baffone non poteva mancare e quando iniziò a darsi alla falegnameria, riusciva a vendere divani e poltrone meglio di chiunque altro.
Negli anni Novanta i suoi affari andavano benino ed allora decise di farsi una famiglia keniana e di parlare il kiswahili più frequentemente dell’italiano.
Ma la sua linguaccia figlia di Dante e coetanea di Benigni non lo abbandonava mai, specie quando c’era da animare serate o da cantarne quattro a qualche nuovo adepto della comunità italiana. Magari indossando solo un “kanzu”, la tunica musulmana.
Il suo piglio e l’espressione sorniona non passarono inosservate alla produzione del film di Marco Risi “Nel continente nero” che lo volle sul set impersonando nient’altro che lui stesso. Secondi memorabili.
Ha vissuto un’esistenza fortunata, Masharubu.
Da falegname è diventato costruttore con alcuni affari lungimiranti ed altri arditi ma affrontati con cinica e spietata conoscenza del Paese che lo aveva adottato. Il giostraio si è costruito un piccolo impero, ha fatto studiare le sue figlie ma non ha perso l'indole da gestore di Luna Park.
E la confidenza con cui ne parlo non inganni! Masha come tanti emigranti italiani era un lavoratore instancabile ed era anche molto bravo a far lavorare gli altri, con la sua aria da burbero che impartiva ordini in lingua o in dialetto giriama.
Il suo potrebbe essere definito il "sogno keniano", da giostraio a riferimento dell'edilizia a Malindi e Mayungu, con resort sul mare, nel bush, ville private e un centro commerciale, a Casuarina, nel suo carnet.
Aveva anche un altro sogno, Masha, un sogno che più volte mi aveva rivelato: avrebbe voluto scrivere un libro che non fosse la sua semplice biografia, ma un libro di massime, di filosofia spicciola, trovate goliardiche e voli pindarici.
Ipocondriaco, sognatore, maniaco, creativo e trafficone: si considerava ormai africano a tutti gli effetti e ti assicurava che dell’Italia gli mancava ben poco, ma in fondo era un italiano fatto e finito, con buona parte dei pregi e dei difetti dei nostri connazionali, di noi tutti.
“Passa a trovarmi perché mi è venuta una nuova idea, devi assolutamente sentirla – mi telefonava ogni tanto – oppure: perché non scriviamo uno spettacolo teatrale su Malindi, insieme?”
Malindi, casa sua. Quella per cui, quando aveva visto quel che stavamo provando a fare per le strade, per riabbellire la cittadina, si era speso qualche mese fa.
“Se posso essere utile, vi porto un camion pieno di terra e pietre, il catrame e il compattatore”.
Detto, fatto. La riparazione temporanea del lungomare.
“Non lo faccio mica perchè si dica che è stato Masharubu...lo faccio per Malindi e basta”.
No, non era il classico imprenditore fatto da sé che amava parlare solo delle sue imprese, della sua effilmera gloria, dei denari che pure a volte contava e ricontava e sgranava come rosari che gli dessero il senso di tante giornate africane tutte uguali, tra fabbrica di legno e cantiere..
Da un po’ di tempo era affaticato, stanco, spesso preferiva lasciare il posto di guida in automobile a qualcun altro.
Ma non gli mancava la battuta al momento giusto, la sferzata, il guizzo, il pensiero lasciato a mezz’aria.
Con questo spirito sabato ha pranzato con amici, ha bevuto con piacere ed è tornato a casa.
Come ogni giorno si è coricato per una pennichella e lui e i suoi baffi non si sono più svegliati.
Fernando Vischi detto Masharubu, uno degli storici italiani di una Malindi che non c’è più ma la cui eredità è qualcosa che resterà nel cielo, nella polvere sollevata, negli afrori delle strade del centro, nel profumo dei frangipani e nell’armonioso rumore dell’oceano indiano, per molto, molto tempo ancora.
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