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EDITORIALE

Italiani a Malindi, tra chi aspetta il rimpatrio e chi vuol restare

La giornata dopo l'annuncio dell'Ambasciata d'Italia in Kenya

20-03-2020 di Freddie del Curatolo

E’ stata una giornata intensa per la comunità italiana di Malindi, specie per i non residenti in Kenya e iscritti all'AIRE.
Al Bar Bar, fulcro vitale degli incontri tra connazionali, c'è già chi è armato di mascherina e chi no.
Difficile indossarla, per chi da sempre è abituato allo sport nostrano della chiacchiera da caffè e brioche.
Si parla e sparla meglio senza museruola, come cani che abbaiano e per fortuna non mordono quasi mai, ed a volte l’età e il relativo udito consigliano di leggere il labiale per afferrare meglio i concetti.
Anche per questo spesso le distanze di sicurezza vanno a farsi benedire, come quando ci si trovava ogni mattina in tangenziale.
Tutti però sono ben disinfettati, sobri ma pieni di etanolo dalla punta delle dita all’avambraccio, per non sbagliare.
Fin dalla mattina l’argomento principale era la decisione, comunicata dal sito dell’Ambasciata d’Italia a Nairobi ed affissa sulla bacheca del Consolato Onorario che è proprio di fianco al bar, del Governo italiano di organizzare un volo charter commerciale (cioè a pagamento) per venire a recuperare tutti i connazionali che potrebbero presto trovarsi in difficoltà.
Sia per via di voli soppressi, cambi di date o restrizioni, come consigliato dall'Ambasciata stessa, o semplicemente perché per vari motivi preferirebbero un volo diretto a un possibile ritorno con scali chissà dove.
In molti si attendevano e auspicavano una decisione del genere. In cuor loro se la aspettavano gratis, ma le notizie giunte da Maldive, Cancun ed altri paradisi degli svernatori, non lasciavano molte speranze.
Ora, arrivato il momento di decidere, eccoli a compilare l’apposito modulo, a fare fotocopie e distribuirle come si trattasse di un concorso alle poste a Napoli negli anni Cinquanta, ma non tutti sembrano entusiasti di tornare nel Paese del mondo in cui attualmente c’è la situazione peggiore di contagi e di decessi, con una sanità al collasso ed un clima di irreale attesa e dolore.
Chi conosce questo Paese nelle sue pieghe sociali, sa bene che se in breve tempo la situazione in Kenya dovesse esplodere, la sanità pubblica qui è praticamente inesistente e quella privata molto dispendiosa. In pratica se non si possiede una buona assicurazione sanitaria con coperture di decine di migliaia di euro, o ci si attacca alla buona sorte o si vive alla giornata come gran parte delle popolazioni costiere.
Perché quando fa comodo, il Mal D’Africa, quel prendere le cose come vengono ed inebriarsi della Natura e dell’ineluttabilità del ciclo della vita, è una religione. Ma quando poi ci si trova davanti alle situazioni difficili e qualcosa inizia a muoversi nel basso ventre, ecco che la verve occidentale da figli di nessuna guerra si fa avanti.
Ma c’è invece chi ha deciso che vuole rimanere in Kenya, perché l’eventuale isolamento gli suona migliore in un giardino tropicale con magari la piscina e perché “si dice in giro” che il virus rallenta il contagio con il caldo e l’umidità.
Sì, forse sono questi i momenti in cui si vede se Malindi è solo una Rimini tropicale oppure è il luogo dell’anima, del bene interiore anche quando le cose girano per il verso sbagliato.
A parte le dicerie, che oggi sono il “panem et circenses” dei social addicted, anche qui bisogna considerare però l’arrivo imminente delle grandi piogge, e anche i possibili razionamenti di acqua, elettricità e beni di primo consumo, che spesso arrivano da Nairobi.
Durante l’anno del caos post-elettorale, all’inizio del 2008 quando la stagione turistica fu completamente compromessa e la paura non era per un nemico invisibile come il Coronavirus, ma per un rischio di guerra civile con machete e armi da fuoco, per lungo tempo mancarono farine, benzina e scarseggiavano bevande di ogni tipo. I prezzi aumentarono ma per fortuna sulla costa non si segnalarono violenze di alcun tipo.
In ogni caso, la coda davanti al Consolato italiano era folta fin dal mattino presto.
In tanti a chiedere informazioni, a consegnare i moduli al fin compilati (che invece, come già scritto, bisogna inviare all’Ambasciata a Nairobi) o prenotarsi per primi, con il timore di restare a terra (cosa che difficilmente potrebbe avvenire).
Nei prossimi giorni conosceremo le date del volo di Stato, sul quale si potrà intonare il mantra tanto in voga “andrà tutto bene”.
Per alcuni si intenderà al Kenya e alla sua gente già abbastanza falcidiata, per altri sarà unicamente per sé stessi.
That’s life, That’s Africa.

TAGS: italiani malindiambasciata kenyarimpatrio kenyacoronavirus kenya

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