EDITORIALE
17-06-2024 di Freddie del Curatolo
Se il Kenya, da un po’ di tempo a questa parte, è sotto i riflettori internazionali, una buona parte di merito, bisogna ammetterlo, è del suo presidente William Ruto.
Se in passato il paese africano è sempre stato in mano a lobby che discendevano direttamente dai padri dell’indipendenza, se non direttamente dalle loro famiglie, con il rischio del tribalismo sempre vivo, oggi Nairobi si può dire portabandiera di un sistema democratico che ha pochi eguali nel continente africano: premier eletto senza estensioni di mandato, devolution, giustizia semi-indipendente, libertà di stampa sul modello occidentale (se ho più soldi ti querelo) e molto meno potere alle polizie speciali.
Questo non è certo merito solo di Ruto, ma di una lenta trasformazione che ha comunque visto l’attuale presidente dietro le quinte, fin dal primo governo Kibaki, ventuno anni fa, con i suoi ruoli da ministro prima, da “longa manus” dell’opposizione poi e da vicepresidente di Uhuru Kenyatta prima della sua elezione.
Essere una democrazia non porta in dote solamente aspetti positivi: significa anche far parte di sistemi finanziari complessi che per un paese in via di sviluppo vogliono dire flirtare con il debito pubblico e i prestiti internazionali, con i grandi blocchi, le istituzioni bancarie e le multinazionali.
Non è una novità, ci sono passati tanti governi e tante nazioni con dislivelli sociali ed economici che hanno avuto sì sviluppo, ma anche momenti di sofferenza, come ad esempio Brasile, Sudafrica e India (che non a caso hanno fatto comunella entrando nei BRICS).
Dopo essere stato ricevuto, abbastanza storicamente, alla Casa Bianca il mese scorso, a distanza di 16 anni dall’ultimo leader africano e di due decenni proprio da Kibaki, per quanto riguarda il Kenya, Ruto è salito di considerazione in ambito Nato e in ambito G7. Anche per questo, oltre che per il “work in progress” del celeberrimo Piano Mattei per l’Africa, di cui il Kenya è uno dei paesi trainanti, il capo di Stato keniano è stato invitato da Giorgia Meloni, presidente di turno, al meeting in Puglia.
Nella foto di gruppo lo si vede di fianco al suo nuovo amico Joe Biden, mentre quella che ha fatto il giro del continente e del mondo lo vede chiacchierare amabilmente in un “tete a tete” con Papa Bergoglio.
Di più: Ruto è stato il primo ad essere ricevuto dal Pontefice. Mentre i leader del G7 gli hanno offerto il palco per un discorso che ha legato la richiesta di riforme globali per alleviare i debiti dei paesi africani all’emergenza climatica, oltre che per ribadire, anche se a colpi di fioretto, l'avversione all'invasore russo. Come portavoce dell'Unione Africana, il presidente keniano non si è però limitato al "compitino" e, dato che l'Africa mai come ora è considerata importante se non fondamentale per il futuro dell'economia, ha chiesto di non dimenticare che oltre alle due guerre conclamate, ci sono almeno 16 guerre o guerriglie che imperversano in tutto il continente, dal Sahel occidentale al Corno d'Africa, dal bacino del Lago Ciad alla regione dei Grandi Laghi.
"Le numerose guerre africane, da tempo in corso e da tempo dimenticate, continuano senza sosta, provocando quotidianamente devastazioni inimmaginabili", ha dichiarato al G7, citando come esempio il conflitto in corso in Sudan, descrivendolo come una "guerra insensata" che causa morte, distruzione e disperazione. Tutte le guerre sono insensate e crudeli, forse quelle africane lo sono maggiormente, perché agli interessi delle fazioni in lotta e di chi le sostiene e ci guadagna, si aggiungono immobilismo e silenzio.
Dopo i pranzi di Bottura nel metaverso di Borgo Egnazia, Ruto è volato al Peace Summit per l'Ucraina di Burgenstock, in Svizzera. Dopo tanta gloria e considerazione, segno che sicuramente si tratta di uno dei governanti più moderni e preparati del terzo millennio africano, lo aspettano le beghe casalinghe, con l’approvazione della nuova finanziaria in parlamento e le possibili magagne con la giustizia per la legittimità dell’introduzione di alcune tasse e con l’opposizione per il ventilato ritorno in piazza per eventuali rinnovate proteste. Anche se all’africana, è la democrazia, bellezza.
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