EDITORIALE
24-07-2009 di Freddie del Curatolo
Stessa spiaggia, stesso mare”, cantava Piero Focaccia quando Malindi era soltanto un “buen retiro” di mercenari inglesi sotto spirito. Oggi la costa keniota, grazie anche agli italiani, ha la sua stagione turistica proprio come quella adriatica o quella ligure. Noi si apre i battenti a metà luglio, poi ci si rilassa ad ottobre e novembre (perché va bene il turismo, l’estate, il lavoro…ma ricordiamoci che siamo in Africa, se la nostra missione era faticare ce ne andavamo in Brianza…) e si riparte con “E la chiamano Estate” di Bruno Martino.
Come ogni stagione, qui a Malindi le piogge hanno mondato pettegolezzi, avventure e disavventure della comunità italiana più numerosa dell’Est Africa. Si riparte tutti da zero (o quasi) e come in un ipotetico campionato, comincia anche il calciomercato. Direttori di alberghi cambiano casacca come gli allenatori, ne arrivano di nuovi dall’estero e quelli storici si riciclano. Qui i residenti di lungo corso f“anno tutti come Trapattoni: in pensione non ci vuole andare nessuno. Tra fare poco e fare un cazzo, la differenza è minima…Ma il calciomercato di Malindi è più creativo di quello vero e proprio. Sì, perché qui capita che un terzino, cambiando squadra, diventi un centravanti e un portiere venga assunto come centrocampista.
“Jambo Ottavio, dove sei a lavorare quest’anno, sempre al Sun & Sea?”
“Macché, Anita! Faccio il costruttore edile”
“Ma l’anno scorso non eri Food & Beverage Manager?”
“E cosa cambia? In ogni caso continuo a darla a bere!”
Come vedete, può capitare addirittura che il massaggiatore sociale diventi presidente della propria squadra. Perché no, il sogno malindino è anche questo.
Tra giugno e luglio arrivano anche gli emigranti. Italiani che hanno deciso di provarci, di cambiare vita. Hanno scelto Malindi e ci arrivano in bassa stagione.
Si guardano intorno circospetti, annusano l’aria umida e spesso hanno l’aspetto di uno che prima o poi se ne torna a San Benedetto del Tronto o a Gorizia.
Poi la sera fanno certi incontri…e decidono di prendere tempo.
Qualcosa troveranno anche loro. Perché a Malindi, a differenza dell’Italia, ci sono i saldi d’inizio stagione…
I presidenti, ovvero i proprietari o gestori di Hotel, ristoranti, attività redditizie, conoscono bene i tempi dek Kenya turistico, e conoscono i loro polli stagionali. Così ogni anno puntano al ribasso.
Se un animatore di villaggio turistico dieci anni fa guadagnava come un operaio di Pomigliano, oggi guadagna poco meno di un guidatore di tuk-tuk. Quasi quasi qualcuno ti fa intendere che per avere vitto e alloggio nel suo esclusivo resort, lavorare lì dentro è un favore che ti sta facendo.
Non c’è hotel o villaggio che non abbia un paio di giovani leve, spesso figli di papà, che fingano di essere in vacanza per un anno, e invece stanno svolgendo mansioni fondamentali! Hanno imparato a mimetizzarsi così bene con i turisti che non riusciresti a beccarli mai.
Abbronzature invidiabili, notti brave stile Ibiza, orari di sveglia al mattino non proprio da safaristi e metà dell’esiguo stipendio che se ne parte in caffè. Sono loro gli “stranieri” che inflazionano il campionato malindino, coi loro ingaggi ridicoli. Poi un professionista è costretto a riciclarsi come venditore di pannelli solari porta a porta o come produttore di “bàsucola”, innovativo innesto africano tra basilico e rucola, presente soltanto a Malindi.
Sì, perché qui ogni stagione ci si inventa nuovi mestieri, e alla fine tutti campano felici e contenti! Un anno li vedi in duecento a fare decoupage e volerti spacciare mobilia bianchiccia tutta uguale, l’altro anno è di moda il kitesurf, e tutti a piazzarsi in spiaggia con i loro catafalchi, la stagione successiva nascono dodici locali “lounge” che poi non si sa che cazzo siano, ma fanno tutti pessimi cocktail che non capisci quanto costino perché la musica è troppo alta e ipnotica per capire il prezzo detto a voce dal barista (che di listini prezzi non c’è neanche l’ombra).
Evviva Malindi la creativa!
Malindi delle stagioni sempre diverse, sempre uguali. In questo angolo di mondo dove, tra mille piccole peripezie, tra micro corruzione e cialtronismo, con ritmi che la moviola è andante con brio al confronto, alla fine facciamo un po’ quello che ci pare con quella libertà che l’Italia sembra aver dimenticato.
Perché Piero Focaccia, che già sapeva come sarebbe andata a finire, cantava anche “lontano, lontano…nessuno ci vedrà”.
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