Editoriali

EDITORIALE

Turismo: arrivano i nuovi italiani in Kenya

Cosa ci si aspetta sulla costa...e non solo

20-12-2022 di Freddie del Curatolo

Quando si parla e si scrive di “italiani in Kenya”, l’ascoltatore e il lettore tendono a immaginare qualcosa che appartiene al passato. Se non al secolo scorso, ai primi anni del millennio.
“Quando ne arrivavano quasi centomila all’anno” o “Quando c’erano i grandi tour operator e sulla costa del Kenya non ne mancava uno”, oltre che “quando Alitalia atterrava a Mombasa” e con quello che si guadagnava nell’Italia “da bere” degli anni Ottanta, in Kenya si faceva fortuna.
Oggi il discorso è cambiato non solo nei numeri, ma nella tipologia del viaggiatore medio, impossibile quindi che anche il Kenya non risentisse di tale mutazione genetico-migratoria.
Chi sono quindi i “nuovi italiani in Kenya”?
La stagione in corso, disinfestata quasi totalmente dalle scorie della pandemia, ha proposto la riattivazione dei voli charter, che di fatto premiano Alpitour e le sue diramazioni, ovvero l’operatore turistico proprietario della compagnia NEOS, che organizza l’unico volo diretto che unisce i due paesi. Durante le feste natalizie ne arriveranno quattro a settimana da Milano, due da Roma e uno da Verona. Una manna dopo due anni e mezzo di blocco totale. Dall’altra parte è sempre più costoso e complicato arrivare con i voli di linea, rispetto a prima del Covid. Ethiopian Airlines si fa bella di non avere praticamente concorrenza, su Mombasa e, di fronte all’aumento comunque obbligato dei prezzi per via di petrolio, tasse e spese pregresse da ammortizzare, ha alzato maggiormente le sue tariffe. Turkish Airways promette da almeno un anno di tornare a volare sulla città costiera del Kenya ma ancora non ha le licenze e dirotta ci “ci casca” su Nairobi, dove spesso non si trovano le coincidenze.
Ecco un altro problema a cui vanno incontro i nuovi italiani in Kenya: i collegamenti interni che paradossalmente invece di essere più numerosi ed “intelligenti” sono sempre di meno, sempre più cari e problematici. Pur rimanendo fedeli al mantra “chi vuol venire in Kenya, alla fine ci viene”, dobbiamo purtroppo constatare che il calo di arrivi è anche figlio della disorganizzazione generale, e non solo del comparto viaggi.
D’altra parte si spera sempre in un ricambio generazionale, nell’arrivo di giovani per cui fare un visto online è ostico più o meno come schiacciarsi un brufolo e che se entrano in un supermercato sanno chiedere quanto costa un prodotto in inglese e al limite non si incazzano se il cameriere non capisce “vorrei uno spaghetto al dente senza il soffritto di cipolla”.
Invece niente, anche questo Natale confermerà che il grosso dei nuovi italiani in Kenya, sarà composto da vecchi. Di militanza ma anche tra i neofiti. Cocoon batte Coconut, Terza Età alla conquista del (ex) Terzo Mondo. Per fortuna c’è Watamu, dove gli italiani in Kenya diventano internazionali: si mescolano, si confondono, si esaltano e spesso combinano tanti di quei casini da farsi riconoscere al cospetto di tutte le altre etnie rappresentate nella splendida località di vacanza.
E Diani? Dove la mettiamo Diani? La lunga spiaggia bianca è sempre stata considerata un “buen retiro” di quegli italiani che ambivano a non farsi riconoscere né essere considerati compatrioti dei vip alla Briatore o, dall’altra parte, dei latitanti di prima dell’estradizione. Paradiso di coerenza, Diani è rimasta tale, anche se alla fine anche lì un po’ più di turismo, anche italiano, farebbe comodo a molti.
E Nairobi? Dove sempre più professionisti fanno capolino per lavorare al soldo dei ricchi keniani e finiscono per rimanere e magari mettersi in proprio? Poi vengono a fare i turisti sulla costa, ma con quell'aria da "cittadini del mondo" di chi entra ed esce ogni giorno da un centro commerciale diverso.
Siamo convinti che qualche “nuovo italiano” arriverà nei prossimi giorni in Kenya. Come già successo a loro simili, passeranno meravigliose vacanze, si rilasseranno e godranno di questo fazzoletto d’Africa che poi penseranno sia un lenzuolone in grado di coprire l’intero continente.
Il rischio maggiore che possono correre è imbattersi nei “vecchi italiani in Kenya” che solo perché sono stati una volta (15 anni fa) nello Tsavo, anzi in un campo appena prima del Sala Gate, pretenderanno di spiegargli la savana, o che gli consiglieranno di acquistare una casa “perché è il momento giusto”.
Il momento giusto di vendergli la loro.
Insomma non facile anche per il “nuovo che atterra” riuscire ad avere una visione oggettiva.
Vecchi, nuovi, giovani, anziani. Malindi, Watamu, Nairobi, Diani.
Bello sarebbe, come in altri paesi del mondo, vedere più viaggiatori e meno turisti, più italiani consapevoli del luogo in cui sono sbarcati, umili, istruiti, rispettosi e con voglia di conoscere, piuttosto che dilettanti allo sbaraglio, pescioloni da spiaggia pronti ad abboccare ad ogni amo o amò, e nuovi connazionali più antichi di quelli che cavalcavano le aragoste qualche decennio fa.

TAGS: italiani in kenyaturistieditoriale

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