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Celina e le keniane che muoiono in Arabia

Tornato a Malindi il corpo di un'altra ragazza uccisa

16-06-2022 di Freddie del Curatolo

Sono specialmente ragazze, vengono allettate da guadagni ben superiori a quelli offerti sulla costa del Kenya, specialmente negli ultimi anni in cui, giocoforza, il turismo non riesce più a dare da vivere come una volta. Spesso sono reclutate da persone di origine araba che vivono in Kenya o lo frequentano per vie di parentele. Mombasa, Malindi, Kwale le destinazioni di partenza, quella finale è l’Arabia Saudita.
Per alcune si tratta davvero, terribilmente, di “destinazione finale”.
Come nel caso di Celina Kazungu, la ragazza originaria di Kakoneni, alle porte di Malindi sulla strada dello Tsavo, che è stata assunta come collaboratrice domestica in Arabia Saudita e che non è più tornata a casa, se non nei giorni scorsi in una bara, per avere almeno degna sepoltura da parte dei parenti che non sapranno mai come e perché sia morta improvvisamente e prematuramente, a soli 22 anni.
La storia di Celina, raccontata dal quotidiano The Star, è quella di tante ragazze (ma anche giovani uomini) che finiscono gli studi superiori e non trovano lavoro o, come nel caso della collaboratrice domestica scomparsa, non riescono a completarli per mancanza di soldi. Il costo della vita in continuo aumento e le tentazioni della società moderna, che hanno raggiunto anche le aree rurali, fanno il resto. I keniani magari non guardano all’Europa come altri cittadini africani e non hanno motivi legati a guerre o conflitti sociali e religiosi per emigrare altrove, ma quando la proposta di lavoro sembra buona, a sole 5 ore di aereo dal Kenya, la tentazione è forte.
Così si arrabattano con lavori occasionali e con l’aiuto delle collette (harambee) dei parenti al villaggio, racimolano i soldi per fare il passaporto e partono.

Ma spesso le condizioni di lavoro sono tremende e la paga non è quella prospettata, il passaporto viene ritirato e le ragazze particolarmente subiscono violenze se non molestie pesanti da parte dei datori di lavoro. In pratica, schiave senza possibilità di cambiare il proprio destino, come 200 anni fa.
Chi si ribella, il destino ce lo ha segnato.
Forse è stato il caso di Celina, che sembrerebbe, da testimonianze raccolte dal Governo del Kenya, essere stata accoltellata, mentre in un primo tempo la famiglia che l’aveva alle dipendenze aveva parlato di incidente domestico.
La ragazza sarebbe morta in ospedale, ma nessuno è riuscito né a parlare con i dottori né ad avere un referto.
La verità non si saprà mai, né i poveri genitori a Kakoneni avranno mai il denaro sufficiente a iniziare un’investigazione e intentare una causa.
Tutto ciò che hanno chiesto è di poterle dare una degna sepoltura.ù
Ci sono voluti ben 3 mesi perché il corpo di Celina Kazungu tornasse a casa.
Ad aprile, poco dopo di lei, un’altra ragazza del nord, Miriam Kemunto, era stata trovata morta nella casa in cui lavorava, con segni di torture inflitte sul suo corpo. Stessa sorte toccata a maggio Beatrice Wanjiru, tornata a casa con il collo spezzato e ferite sulle gambe.
Dal 2019 al 2021 sono stati 89 i lavoratori keniani morti in Arabia Saudita, anche se non tutti uccisi, alcuni sono letteralmente morti di fatica o di attacchi cardiaci, anche per le condizioni climatiche stremanti, con temperature fino a 50 gradi. L’assemblea nazionale del Kenya e il parlamentare ed ex sindacalista Wilson Sossion hanno fatto appello al Ministero del Lavoro per fare luce su queste vicende e rivolgersi ai tribunali dei diritti dell’uomo. Voci che fino ad ora sembrano inascoltate. Nel 2013 le violenze a due domestiche keniane in Libano, documentate da un testimone in un video, avevano portato a grandi proteste con una manifestazione a Nairobi e in altre città africane che mettevano i riflettori sul moderno schiavismo dei paesi di matrice islamica sulla manovalanza africana.
Tempo fa una collega giornalista mi ha raccontato di aver viaggiato, ad Addis Abeba, con una ragazza etiope che stava recandosi in Arabia Saudita per lavoro. Sapeva di non avere altra scelta per mantenere la famiglia, ma piangeva disperata perché alcune amiche le avevano raccontato dei soprusi che avrebbe dovuto subire e del rischio di non tornare mai più in patria. C’è da sperare almeno che storie tragiche come quella di Celina anche in Kenya possano far dire di no a tanti giovani tentati da guadagni dignitosi in Paesi che non lo sono affatto, specie con gli africani.

TAGS: arabiamorti kenyaemigranti

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