RICORDO
22-05-2021 di Freddie del Curatolo
Ancora non riesco a crederci, mio Capitano.
Da lupi di mare come te, così avvezzi a naufragi e risalite a galla, vele a poppa e ribaltamenti inaspettati, avrei voluto un epilogo da nocchiero di Melville: scomparire tra i flutti sorridendo con il sigaro in bocca, attento a non rovesciare il bicchiere di rum invecchiato.
Lui sì, tu eterno uomo: mai immaturo come i giovincelli, mai con la presunzione dei troppo saggi.
Invece ci siamo salutati dopo il consueto rito stagionale della cenetta prima della tua partenza, litigando su Aristarco e Tolomeo con buon jazz in sottofondo e scherzando come sempre sulle cose buone che avresti gustato in Italia alla faccia nostra.
Fave fresche, pecorino e vino buono.
Ti hanno aggredito a terra, in una terra ormai straniera.
E’ stata un’aggressione vigliacca, impietosa, ingiusta.
Avrebbero dovuto darti il tempo almeno di tornare davanti all’Oceano, mio Capitano.
Oltre che il migliore amico di mio padre (e come non avrebbero potuto, due elementi così, all’apparenza diversissimi tra loro ma così simili nel proteggere dall’esterno i loro fragili, umanissimi sentimenti?) sei stato per me un maestro di vita.
Come i più grandi mentori, lo hai fatto senza mai la pretesa di insegnarmi niente e senza mai mettere la parola “io” davanti alla parola “vita”.
E nella tua vita c’erano il viaggio, l’esperienza, la conoscenza, la curiosità.
C’erano Bukowski e Debussy a braccetto, c’era Dante che leggeva il Vernacoliere, c’era il Capitano Achab sul dorso di Moby Dick che fischiettava “Mood Indigo”.
Quando sono arrivato a Malindi la prima volta, nel 1990, c’eri tu ad attendermi davanti alla prima tusker. Era tutto nuovo e il Capitano di Lungo Sorso fu la sorpresa italiana più appassionante.
Era una Malindi di pirati, pionieri, sognatori, avventurieri, artisti, cortigiane, ricercati, falliti, donne coraggiose e innamorate, contrabbandieri e amanti dell’Africa.
Per un giovane che sognava di fare lo scrittore, la sola “colonia” di espatriati proponeva decine di romanzi...e poi c’era tutto il resto, c’era il Kenya!
Sei stata tu la mia prima guida, il metronomo oscillante tra la voglia folle di godersi ogni stilla di libertà e la più rilassante ed introspettiva maniera di far scorrere le cose sopra di sé, come le nuvole nell’immenso cielo basso dell’equatore. Un metronomo che tornava sempre al centro, smussando i miei estremismi giovanili, le ideologie e i luoghi comuni e falsi miti sull’Africa.
Questa era la filosofia, fatta di discussioni etiliche fino all’alba e momenti interminabili di silenzio davanti ad un tramonto, andando a cercare tutti i posti dove il sole scomparisse più vicino possibile all’oceano.
Sarà il motivo per cui sei presente in ogni libro che ho scritto su questo posto?
In ogni mio racconto, in ogni discorso su Malindi, su quanto siamo stati così criminalmente vicini alla libertà, alla bellezza e alla felicità assoluta che solo nei sogni puoi vivere, ci sei tu.
Te ne vai in giorni come questi in cui gran parte della gente si sta abituando a pensare che libertà, bellezza e felicità vogliano dire non dover avere paura.
Ce lo saremmo detti nella prossima cena africana, tra un risotto, un amarone e un Charlie Parker, che non c’è più grossa bischerata di questa.
Nei sogni c’è eccome la paura, insieme alla meraviglia. Ci sono addirittura gli incubi.
La paura fa parte della vita, ma se non sei schiavo di nulla, sai che ti sei guadagnato tu anche quella, insieme alle delusioni e alle sconfitte.
E puoi sempre raccontarla, smitizzarla, sbeffeggiarla.
Bevendoci sopra e bevendo piano, come hai sempre cercato di insegnarmi a fare.
Dovesse mai prevalere la tristezza, bischero, puoi sempre tornare tra le onde.
Capitano, Mio Capitano di Lungo Sorso, Beppino, Beppao, Musett’appunta...ti lascio con le parole a te care di Herman Melville, all’inizio di Moby Dick.
“Ogni qual volta mi accorgo di mettere il muso. Ogni qual volta giunge sull’anima mia un umido e piovoso novembre. Ogni qual volta mi sorprendo fermo, senza volerlo, dinanzi alle agenzie di pompe funebri o pronto a far da coda a ogni funerale che incontro e specialmente ogni qual volta l’umore nero mi invade a tal punto che soltanto un saldo principio morale può trattenermi dall’andare per le vie col deliberato e metodico proposito di togliere il cappello di testa alla gente, allora reputo sia giunto per me il momento di prendere al più presto il mare”.
Il tuo scrivano di bordo, Alfredo.
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