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21-06-2022 di Freddie del Curatolo
Il conflitto tra uomo e natura nell’Africa equatoriale delle savane, delle foreste e degli altipiani, è una delle problematiche più serie e sottovalutate dei nostri tempi.
Da una parte ci sono le popolazioni povere, seminomadi, dedite da sempre a pastorizia ed agricoltura, dall’altra il progresso e le sue implicazioni socio-economiche che inesorabilmente si portano dietro l’edilizia, le infrastrutture e il turismo.
Se ne parla spesso quando sono i residenti ancestrali di quelle terre e nazioni a ribellarsi, uccidendo elefanti che devastano i loro raccolti o felini che sbranano le loro mandrie.
Un po’ meno quando c’è un nuovo lussuoso lodge da costruire o un intero villaggio da spostare per far posto alla tenuta di un vip o di un politico.
Questa volta però nelle lande tanzaniane alle falde del cratere di Ngorongoro, uno dei paradisi naturalistici che rientrano nei sogni ricorrenti degli amanti di Africa e safari e patrimonio dell’UNESCO, sta succedendo qualcosa di più grande e pericoloso, specie perché potrebbe costituire un precedente.
150 mila maasai che vivono da sempre nella zona di Loliondo, all’interno di un’immensa riserva di 1500 chilometri quadrati protetta di proprietà del Governo tanzaniano, stanno venendo poco a poco sfrattati per far posto ad una riserva privata (o quantomeno data in gestione dallo stato) in cui si potrà anche cacciare gli animali (per controllarne l’equilibrio biologico, si dice ovviamente).
Alle popolazioni locali il Presidente Samia Suluhu aveva già intimato due mesi fa il trasferimento in altri territori (più affollati e meno adatti al pascolo) ma come sempre il caos è scoppiato al momento dell’arrivo delle forze dell’ordine tanzaniane.
Secondo attivisti per i diritti umani, sarebbero stati sparati gas lacrimogeni e anche proiettili veri, e gli scontri dei giorni scorsi avrebbero causato oltre 30 feriti, oltre alla morte di un agente di polizia.
Nella riserva di Loliondo potrebbero così essere cancellati completamente i villaggi di Ololosokwan, Oloirien, Kirtalo e Arash, dove vivono circa 70.000 indigeni Maasai ormai stanziali, con scuole e servizi a loro disposizione. La notizia che la riserva di caccia potrebbe essere data in usufrutto alla famiglia reale degli Emirati Arabi che da sempre frequenta Loliondo per divertirsi sulla pelle di zebre, gnu e gazzelle, è ulteriore benzina sul fuoco.
Per questo nel 2018 la Corte di Giustizia dell’Est Africa aveva emesso un’ingiunzione per fermare lo sfratto. Il 22 giugno ci sarà il pronunciamento della corte d’appello per la questione.
Intanto 700 agenti delle forze di sicurezza nazionale sono stati dislocati nell’area e hanno installato campi tendati per presidiare la zona ed hanno piantato paletti per iniziare a delimitare l’area in cui sorgerà la riserva. Sembrerebbe che gli incidenti siano iniziati quando, poco prima dell’alba, i maasai della zona hanno rimosso i paletti.
“L’esproprio, lo sfratto forzato e lo spostamento arbitrario, vietati dal diritto internazionale, causeranno danni irreparabili – è la denuncia dell’Osservatorio per i diritti umani OCHR - potrebbe mettere a repentaglio la sopravvivenza fisica e culturale dei Maasai in nome della “conservazione della natura”, del turismo safari e della caccia ai trofei, ignorando il rapporto che i Maasai hanno tradizionalmente avuto con le loro terre, i loro territori e le loro risorse e il loro ruolo di gestione nella protezione della biodiversità”.
Il Governo tanzaniano, chiaramente è di tutt’altro avviso: sostiene che la terra è fondamentale per la riproduzione e la migrazione degli gnu nel Serengeti ed una fonte indispensabile di acqua per il parco nazionale. Secondo le autorità della protezione ambientale, il sito protetto di Ngorongoro dove la fauna selvatica e i pastori Maasai seminomadi da sempre hanno convissuto senza problemi, oggi è sovrappopolato dagli esseri umani e dal loro bestiame, con conseguente degrado ambientale. Sebbene il Paese abbia storicamente permesso ai nomadi di vivere all'interno dei parchi, la loro popolazione è aumentata notevolmente negli ultimi decenni, così come il loro bestiame”.
Problemi che ultimamente affliggono anche il vicino Kenya, dove nelle settimane scorse una manifestazione di pastori maasai ha bloccato la strada principale della zona di Kajiado e la risposta della polizia è stata molto dura, lasciando a terra senza vita 4 dimostranti e ferendone un’altra quindicina.
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