COMMERCIO
03-01-2019 di Freddie del Curatolo
Querelle Italia-Kenya sui prodotti alimentari d'importazione dal nostro Paese.
Le società di import-export si sono appellate al Ministro del Commercio del Kenya per risolvere la questione del sempre più complicato processo d'importazione del "made in Italy" dalla nostra Penisola al porto di Mombasa.
Una problematica resa effettiva dall’introduzione, lo scorso ottobre, di una nuova regolamentazione sull’importazione di “prodotti di qualità” che introduce diversi parametri per ogni singolo prodotto (e relative analisi) per essere accettato nel mercato keniano e inasprita dalla rigidità applicata specialmente nei confronti della pasta, uno dei capisaldi del nostro export.
In base a questa legge per ogni diversa marca o tipologia di prodotto, viene svolta una differente analisi con relativi costi e perdite di tempo, rischi di deperibilità di alcuni cibi e addirittura, come nel caso della pasta italiana, di rifiuto ad immettere sul mercato certi prodotti.
“A causa di una battaglia anche legittima del Kenya per eliminare certi prodotti contraffatti o di “serie B” che arrivano prevalentemente dall’Asia, la situazione sta diventando insostenibile anche per noi che facciamo da anni questo lavoro puntando sulla qualità dell’export italiano – spiega Roberto Miano, decano degli importatori italiani di Mombasa con la sua Tropic Trade – oltre ad abolire la verifica dei prodotti sul posto e inviare ogni prodotto per analisi, il Kenya Bureau of Standards utilizza parametri diversi da quelli dell’Unione Europea e questo crea ulteriori problemi”.
Eppure i nostri prodotti sono certificati dalle norme europee ISO che ne garantiscono la qualità, permettendone l’esportazione in gran parte dei Paesi del mondo.
“Non solo – aggiunge Miano – quasi tutte le aziende italiane che sono sul mercato keniano, hanno decenni di vita commerciale alle spalle in questo Paese in cui la presenza di prodotti alimentari italiani è sempre stata vista come una garanzia di qualità”.
Grazie anche all’intervento dell’Ambasciata d’Italia a Nairobi e ad un’opera di mediazione durata due mesi, il problema sembrava essere stato risolto alle porte delle feste natalizie, grazie ad un incontro tra le nostre istituzioni e il Viceministro del Commercio, Betty Maina.
In pratica era stato assicurato verbalmente che se le merci in arrivo dall’Italia avessero avuto la certificazione dell’azienda d’ispezione e analisi SGS, riconosciuta anche dal Kenya e leader a livello mondiale, non ci sarebbero state ulteriori verifiche da fare nel Paese.
In realtà il problema si è invece recentemente proposto con due grandi firme della pasta nostrana, la Divella e la Ferrara.
Nonostante le certificazioni della SGS, sono state svolte altre analisi dal KEBS che hanno rivelato un contenuto di proteine minore del consentito. I container sono stati dunque bloccati in porto.
Nel caso specifico del container della Divella, le analisi svolte dalla SGS per conto del pastificio pugliese, segnalano una percentuale di proteine non inferiore al 13%. Quindi, secondo i parametri keniani, superiore al livello minimo consentito che è del 10,5%. Le analisi effettuate dai laboratori KEBS invece segnalerebbero valori all'otto per cento.
Incompetenza della KEBS o c'è dell'altro?
Se lo chiede anche il quotidiano economico locale “Business Daily”, che raccoglie i reclami dell’azienda napoletana Ferrara e parla di “guerra degli spaghetti”, una querelle che potrebbe compromettere i buoni rapporti tra le due Nazioni, confermati dal recente incontro a Roma tra i due Vicepresidenti William Ruto e Luigi Di Maio.
Nei primi nove mesi del 2018 il Kenya ha importato prodotti italiani per oltre 170 milioni di euro.
“E’ una situazione critica e da risolvere al più presto – spiega Marco Cavalli di Taste Italy che a Watamu rifornisce decine di hotel e ristoranti non solo italiani – oltretutto, nel caso specifico della pasta, i nostri valori, analizzati in Italia, risultano essere conformi anche per i parametri keniani. Questo sistema di analisi incrociate può creare problemi anche all’offerta turistica del Paese, che da sempre utilizza i prodotti italiani come sinonimo di qualità e di alto livello”
A questo punto l’Ambasciata italiana, dopo aver chiesto anche l’intervento dell’Unione Europea (di cui molte Nazioni hanno problemi simili, ma non nel campo del food and beverage), si è rimessa al lavoro per chiedere un nuovo incontro al Ministero del Commercio, con la KEBS sempre piuttosto refrattaria ad un confronto diretto.
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