SOCIETA'
19-04-2018 di redazione
Il Kenya da sempre convive con la liberalizzazione del "mestiere più antico del mondo".
La prostituzione sia maschile che femminile non solo è consentita, ma fa parte del costume della popolazione locale, tanto è vero che i primi "consumatori" di tale servizio sono proprio i keniani e che nei locali pubblici il mercimonio del proprio corpo è una delle attrazioni e delle possibilità, al pari della somministrazione di alcolici o della musica dal vivo.
Da una parte questo costituisce un paradosso in una Nazione che da sempre si professa profondamente conservatrice, a livello religioso: sia nella sua parte cristiana (che costituisce la maggioranza, tra cattolici e protestanti), sia nella minoranza islamica, ben rappresentata sulla costa, dove il turismo porta anche tanti stranieri ad approfittare dell'opportunità.
Basti pensare al tabù dell'omosessualità, che a fatica le nuove generazioni stanno cercando di sdoganare.
Dall'altro lato per molti anni il fenomeno ha evitato il proliferare di mafie e traffici illeciti legati alla prostituzione, come avviene ad esempio in Europa.
Se è vero che alla base del "sex-business" ci sono condizioni di miseria, violenze in famiglia e prospettive di guadagni facili che altrimenti non sarebbero possibili, dall'altro chi la pratica non ha a che fare con sfruttatori e racket, che spesso poi sono collegati a droga e altre attività losche.
In questi giorni a Nyali si è tenuto un convegno, organizzato dall'International Centre for Reproductive Health, alla presenza della coordinatrice americana Joanne Mantel e del responsabile keniano Peter Gichangi.
I relatori hanno denunciato le pessime condizioni di assistenza sanitaria di cui godono "lucciole" e "gigolò".
Secondo le associazioni che si occupano della tutela di questo settore così palesemente presente in Kenya, chi vende il proprio corpo dovrebbe accedere gratuitamente a servizi di controllo periodici ed essere rifornito di preservativi, assorbenti ed altri prodotti di prevenzione di malattie, anche per tutelare i propri clienti, che come detto sono per la maggior parte keniani.
"Da nostre indagini - ha dichiarato Gichangi ai media - manca anche una corretta informazione sull'utilizzo di contraccettivi, lubrificanti ed altro, e anche i proprietari di locali che ammettono e promuovono gli incontri non c'è la necessaria collaborazione".
Tra i luoghi che più risentono di questa mancanza di attenzione ad un aspetto così radicato nel Paese, ci sono Mwtapa (la "sin city" della costa keniana) e Mombasa. Ma il problema è sicuramente da affrontare in tutto il Kenya, un Paese che per molti aspetti sta crescendo e si sta ammodernando, ma che per altri rimane colpevolmente indietro.
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