L'ANGOLO DI FREDDIE
21-08-2020 di Freddie del Curatolo
“Corona non c’è, Corona non c’è”
Te lo dicono in italiano, anche perché i pochi bianchi rimasti a Malindi in questo periodo, o appena arrivati, sono quasi tutti residenti italiani e gli storici cittadini britannici (di passaporto keniano) sono molto riconoscibili.
D’altronde fino a sei mesi fa, di turisti italiani ce n’erano tanti, poi cos’è successo?
“E’ arrivato Corona in Italia – spiega Abdul, tuttofare cambiasoldi guidaturistica guardiadelcorpo e buttadentro (nelle boutique) che vive e vegeta nel giardino di Uhuru Garden, chiamato da sempre “piazzetta del cambio” – e italiani chiusi in casa, pochi rimasti qui. Poi arrivato anche in Kenya, ma poco poco a Nairobi. Però nostri politici preso tanti aiuti, allora bisogna dire che corona c’è”.
Visione semplicistica ma condivisa da tanti keniani della costa.
Non a caso mascherine al volto se ne vedono pochissime e, a parte i bar chiusi per la paura della revoca perenne della licenza e il coprifuoco per le bastonate della polizia, le regole personali vengono infrante spesso e volentieri: niente assembramenti, e al mercato c’è la ressa, vietato andare in spiaggia e alle cinque di pomeriggio c’è il pienone, mascherine nei luoghi pubblici e i primi a non indossarle sono i “pubblici”.
Ma non è niente di nuovo né di strano per Malindi, dove la presenza italiana ha messo tante ciliegine su una torta di Kenya meridionale (alcune buone, altre meno): qui si può salire in 4 su una motocicletta omologata per due, in 20 su un pulmino omologato per 14, ed essere proprietari in 3 dello stesso terreno, non omologato.
Strano ma vero, invece, è che a Malindi in sei mesi non ci sia stato un solo residente contagiato dal Covid-19. Nessun caso di morte sospetta con sintomi riconducibili al virus che abbia portato le autorità sanitarie locali ad effettuare un tampone postumo.
E non tiriamo in ballo che in Kenya queste cose non si fanno, perché non è vero.
I casi sospetti (morti con problemi respiratori e febbre) vengono sempre testati. A Mombasa durante l’emergenza, una decina di persone sono state trovate positive così.
Ma anche tra gli asintomatici fino ad ora non ci sono casi ufficiali, ed anche questo dato sarebbe facilmente verificabile, dato che tutte le attività straniere in loco, tra Mambrui e Watamu, per riaprire hanno dovuto sottoporre il loro staff al tampone. Si parla di più di mille e cinquecento dipendenti. Nessuno è stato trovato positivo.
Gli unici due casi scoperti nella Sub-Contea di Malindi hanno portato il Covid-19 da fuori, ma fortunatamente non l’hanno trasmesso a nessuno.
Si tratta di un camionista arrivato alle saline di Ngomeni dall’Uganda e di un uomo d’affari di Nairobi che alloggiava in un motel. Struttura che è stata chiusa, sterilizzata e i cui dipendenti sono stati sottoposti a nuovo test.
Insomma, verrebbe da dire che ha ragione Abdul, “Corona non c’è”.
Ma non c'è nemmeno un'anima in vacanza...
La partita tra contagi e turisti è ferma sullo 0-0.
Da una parte si capisce, chi verrebbe in vacanza in una destinazione dove vige il coprifuoco e alle 9 tutti a nanna? E dove per giunta non si vendono alcolici nei ristoranti e i bar sono chiusi?
E pensare che nonostante le restrizioni ancora attive in Kenya, ci sarebbero molti italiani che pur di godersi la loro fetta di “Mal d’Africa” partirebbero subito!
E qui entra in ballo il Governo di Roma, che vieta i viaggi per turismo in tutta l’Africa (tranne il Ruanda, e bisognerebbe capire perché...forse a Gigino Di Maio piacciono particolarmente i gorilla?) e impone la quarantena al ritorno dai paesi extraeuropei.
Impensabile che un decreto globale approvato sulla falsariga di quello dell’UE possa fare eccezioni per la “colonia italiana” in Kenya e per salvare le attività economiche di tanti connazionali sulla costa nord. Queste cose succedono solo nelle favole, anche se a Malindi la prima favola sembra proprio essere il Coronavirus.
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