Racconti

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La straordinaria storia di Zawadi (terza puntata)

"...siamo arrivati in tempo e dobbiamo essere solo felici per questo".

25-09-2022 di Claudia Peli

Nei giorni precedenti avevano visto alcuni uomini anziani, consumati dal sole, dal vento e dal sale che riparavano le loro grandi reti all’ombra delle palme. Edoardo aveva scattato delle fotografie ed era rimasto incantato dalla loro manualità.
Poi Giorgia lo aveva chiamato.
“Amore guarda laggiù!”
Gli aveva indicato un uomo che camminava sul bagnasciuga, curvo sotto il peso di qualcosa che si portava sopra la testa.
Pareva un materasso. Solo quando era stato abbastanza vicino a loro avevano capito che si trattava di un enorme pesce vela appena pescato.
“Che meraviglia! Hai mai visto niente di simile?”
L’uomo passò accanto a loro e Giorgia sentì l’odore forte e unico della bestia che luccicava di blu intenso.
Volle quasi allungare una mano per sfiorare la sua coda, ma si trattenne per pudore. Edoardo la immortalò così: bella e curiosa.
La vacanza in Kenya l’avevano sognata per anni.
Avevano messo da parte i soldi mese per mese, facendo qualche rinuncia e qualche taglio qua e là. 
Era il loro decimo anno di matrimonio e si erano regalati due settimane in Africa per festeggiare. E chissà, magari laggiù nella fertile terra dei loro avi, dove tutto aveva avuto inizio, sarebbe potuto accadere un miracolo: chissà se questo viaggio  avrebbe regalato loro un figlio tanto atteso e non ancora arrivato.
Una stella cadente sfavillò nel cielo, e il desiderio che espressero nel cuore in segreto fu lo stesso.
Si abbracciarono stretti.
Giorgia si accarezzò il ventre.
Il giorno dopo sotto la tettoia di mabati c’erano un uomo e una donna accucciati accanto ad un secchio.
Nel secchio c’era una vita umana, nel ventre non c’era niente.
Finalmente l’acquazzone parve calmarsi, si vedeva già qualche spicchio di azzurro filtrare tra le nuvole.
Il vento da sud aveva ricominciato a soffiare e si portava via il brutto tempo, mentre il cielo basso cominciava ad alzarsi.
Giorgia aveva la mascella serrata e gli occhi lucidi.
Non aveva detto niente altro, scuoteva solo la testa di tanto in tanto.
Edoardo le teneva il braccio attorno alle spalle e le tirava via i capelli umidi dalle guancie.
Udirono dei passi leggeri alle loro spalle: erano dei ragazzini che li fissavano con curiosità.
Edoardo si alzò di scatto e indicò loro il secchio, quelli si misero a ridere e scapparono via.
Come se fosse un gioco.
“Forse nessuno lo sa. Portiamolo là alle capanne, facciamolo vedere anche a loro.”
Edoardo afferrò il secchio con entrambe le mani e lo sollevò; altre mosche si alzarono ronzando.
“Che schifo!” Sbottò Giorgia cacciandole via.
La gente del villaggio si fece attorno ai due wazungu che avevano i corpi bagnati di pioggia e i volti diversi da prima.
Non sorridevano più, gli occhi avevano delle ombre cupe dentro.
Forse avevano fatto arrabbiare gli spiriti della tettoia?
Giorgia fece segno a qualcuno di avvicinarsi.
“Venite, guardate qui, lo sapevate?”
Avrebbe voluto tirarli per le braccia perché erano reticenti.
Chi guardò dentro il secchio alzò le spalle e fece un passo indietro.
Edoardo chiese di chi fosse figlio, nessuno rispose, neppure le donne accucciate lì nel fango.
Lei allora gli disse:”Portiamolo da un dottore, non vedi che sta morendo?”
Lui arricciò le labbra  e si  guardò intorno indeciso.
“Ma se sua madre torna e non lo trova?” Le bisbigliò.
“Guardalo bene, non ce l’ha più una madre, neanche una capra lascerebbe il suo piccolo così!”
Puzzava già di morte, ma lei lo prese in braccio e gli sfiorò la guancia con la sua fronte fresca e liscia.
Allora lui disse sì, che era la cosa giusta da fare.
Vide la compassione e l’amore negli occhi di sua moglie e  capì che non poteva  tirarsi indietro.
“E’ una bambina Edoardo, guarda …”
Le venne da piangere, si curvò un po’ in avanti per mostrargliela.
Lui si tolse la maglia e restò a torso nudo.
“Dai, avvolgiamola qui dentro. Dammela, fai piano.”
Ne fecero un fagottino, la bimba si contorse e vagì, Giorgia disse che stava soffrendo e, rivolta a quella gente, ringhiò:
“Vergognatevi!”
Chissà se qualcuno capiva la sua lingua.
Una ragazza si fece avanti tra la piccola folla, lei la capiva la lingua dei bianchi.
“Non è della nostra tribù. Qualcuno l’ha abbandonata qui, ma non è una di noi la madre. E’ di fuori.”
Un cucciolo che non appartiene al branco. Abbandonato alla pietà umana di un singolo o all’indifferenza collettiva.
Dipende dall’umore degli spiriti custodi.
“Portiamola in ospedale. Loro non ne vogliono sapere di salvarla.”
Quelli del villaggio non dissero niente quando i due wazungu la caricarono sul taxi; tanto ero solo una randagia, nessuno ne avrebbe sentito la  mancanza, ne avevano già fin troppi di figli da nutrire e curare senza averne una in più che non si sapeva neanche da dove fosse spuntata fuori. I ragazzini presero a giocare con la palla di pezza, gli uomini a raccontarsi le loro storie, le donne a scuotere via la pioggia dalle fronde dei tetti. E tutti gli altri a tirarsi via i pidocchi di dosso.
Il secchio vuoto restò sul sentiero.
Una rana ci sbatté contro e lo rovesciò. Quando tutti si furono allontanati arrivò una vecchia che lo prese e se lo portò nella capanna.
Il tassista guardò la creatura nel fagotto e  disse che  conosceva un bravo dottore che aveva una clinica privata e curava i wazungu, era meglio portare lì la piccola.
Loro annuirono, non conoscevano la cittadina e nemmeno gli ospedali. Dovevano fidarsi.
Aveva gli occhietti chiusi, i pugni stretti.
Doveva avere patito fame e freddo per parecchie ore.
Il dottore era un giovane indiano, aveva lo sguardo luminoso e la fronte alta. Quando Giorgia gli mise tra le braccia la piccola lui le chiese dove l’avevano trovata.
“A qualche chilometro da qui, nella foresta.”
“Capisco.”
Raccontò che qualche volta purtroppo succedeva: alcune ragazze andavano a sgravarsi nel bush, poi nascondevano in una buca sotto terra i loro neonati. O li abbandonavano sotto le piante.
“Perché?”
“Perché spesso non possono prendersene cura. Forse la madre di questa bambina era una prostituta o una drogata. Forse neanche la voleva.”
Era una spiegazione agghiacciante, a Giorgia si chiuse il ventre in un crampo doloroso.
Edoardo le appoggiò la mano tiepida sulla nuca.
Il dottore visitò la bimba e non parlò.
Loro si misero a sedere sopra una panca, mano nella mano.
Lei avrebbe voluto fargli mille domande: quanti giorni ha? Che cosa ha? E’ grave? Guarirà vero dottore?
Però si mordeva le labbra e taceva e lo lasciava fare il suo lavoro.
Poi lui si lavò le mani e chiamò l’infermiera.
Parlarono nella loro lingua; la donna annuì, prese con sé la bimba e sparì dietro una tenda.
Si udì dell’acqua che scorreva e un vagito leggero come un soffio.
“Non so se ce la farà. Ha bisogno di essere curata bene, ce ne occupiamo noi.”
Marito e moglie si guardarono.
“Allora la lasciamo qui con lei dottore?” Chiese Giorgia titubante.
“Certamente. Voleva forse portarla in hotel?”
Lei scosse la testa, ma forse nel suo intimo era proprio quello che desiderava.
“Tornate domani mattina. Vediamo come trascorre la notte, se sopravvive.”
Le venne la pelle d’oca sentendo le ultime parole. Certo che doveva sopravvivere! L’avevano trovata per salvarla, non per vederla morire!
Ma tenne per sé i suoi pensieri.
Si fecero riportare in hotel e si gettarono sotto una doccia calda e lunga. Poi si rannicchiarono l’uno contro l’altra sul divano in terrazza.
“Non hai mangiato niente tutto il giorno.”
“Neanche tu.”
“Io non ho fame.”
“Neppure io.”
Passarono lunghi minuti in silenzio.
Aveva ripreso a piovigginare, sentivano l’umido sulla pelle, tra le dita.
La spiaggia era deserta. Le chiome delle palme ondeggiavano al vento.
Il mare aveva lo stesso colore grigio del cielo.
“Che schifo.” Disse lei.
Lui sapeva a cosa si riferiva.
“Succede anche da noi, lo sai. Lo leggiamo spesso sui giornali: bambini gettati nei cassonetti, nei fiumi … succede dappertutto.”
Figli buttati al niente.
Sangue e cuore ripudiati.
“Che schifo.” Ripeté lei e gli appoggiò la testa sulle gambe.
Pensò che non era affatto giusto: lei desiderava un bambino più di ogni altra cosa al mondo e una donna aveva appena gettato via il suo come fosse immondizia. Era una cosa assurda.
“Non mi piace questo mondo, neanche un po’, sai?”
“Neanche a me Giorgia mia, facciamo qualcosa per migliorarlo? Una piccola cosa, eh?”
“Sì amore mio.” E gli abbracciò le ginocchia.
Dormirono fino a che venne buio.
Qualche stella cominciò a luccicare.
Sentirono la musica che annunciava la cena servita al ristorante, ma non avevano voglia di vestirsi  e scendere in sala con tutti gli altri e raccontare quello che era successo la mattina nella foresta.
Volevano tenere per sé quella esperienza cruda e preziosa al tempo stesso e non trasformarla in argomento di conversazione da pasto. Si fecero portare in camera della frutta e del riso e guardarono la tv fino a tardi.
“E se non l’avessimo trovata noi?”
“Ci ho pensato anche io.”
“Quelli del villaggio non avrebbero fatto niente, hai visto? Neanche si erano accorti di lei.”
“Forse uno dei ragazzini l’avrebbe trovata e portata a casa.”
“E poi?”
“Non lo so Giorgia. Non lo so. Come faccio a sapere cosa passa per la testa di questa gente?”
Lei sospirò, poi disse con amarezza che se non avesse smesso di piovere loro non ci sarebbero mai andati nella foresta la mattina.
“Adesso smettila per favore. L’abbiamo trovata, siamo arrivati in tempo e dobbiamo essere solo felici per questo. Va bene?”

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