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Quando a Malindi la Serie A si ascoltava da Mimmo

Quest'anno niente calcio dalla Rai, come 30 anni fa...

14-10-2021 di Freddie del Curatolo

Quest'anno la frammentazione dei diritti televisivi, che il nuovo network digitare DAZN si è aggiudicato per poi cedere diritti un po' a tutti, ha negato ai residenti e turisti italiani in Kenya la visione della popolare trasmissione "La Giostra del Gol" su Rai Italia.
Trasmissione che già il cosiddetto "spezzatino", le gare spalmate su due o più giorni a diversi orari, aveva già abbondantemente compromesso.
Per chi non si può permettere un abbonamento al canale satellitare con decoder DSTV da 50 euro al mese, si torna indietro di 30 anni, quando le dirette della Serie A a Malindi si ascoltavano via radio e solo in una veranda, alle Sultan Villas. 
Come ho raccontato nel mio libro "Genoa Club Malindi".

"Trent’anni fa Malindi era il mondo come lo ha sempre sognato un amante della libertà, dell’avventura e dell’imprevisto o un giovane fanatico della vita senza vincoli, magari un po’ egoista ma affamato di conoscenza.
Spazi infiniti, sole tutte le mattine, giornate che potevano essere totalmente oziose o piene di movimento e situazioni inedite da perdere la testa.
Con mille lire te la passavi da nababbo, dall’alba al tramonto mangiando pesce fresco, frutta e verdura e bevendo birra.
Potevi lasciare la porta di casa spalancata e le chiavi nell’auto e non succedeva niente. Dopo un po’ di tempo ti accorgevi di avere il loro sorriso stampato sulla tua faccia e un’espressione ebete di serenità.
Trascorrevo ore a giocare a bao, una specie di dama, in compagnia dei pescatori, bevendo tè al ginger nella loro capanna dopolavoro, navigavo in oceano aperto a bordo di dhow antichi e instabili, tra squali e marlin, visitavo i villaggi di fango e palme secche in cui vivevano i camerieri della pizzeria di mio padre, mangiavo la loro polenta, bevevo dalla noce del cocco, mi liberavo (ma senza rifletterci più di tanto) di tossine occidentali e ideologie di comodo. Era un gran bel momento di crescita.
L’unico vero refolo d’Italia, in quel paradiso in cui era così facile trovare il proprio equilibrio ma ancor più attraente perdersi in mille tentazioni, soffiava puntualmente la domenica pomeriggio.
Inutile dire che non c’era il satellite, non erano stati ancora inventati i decoder e le pay-per-view, di internet e cellulari neanche a parlarne.
L’unica maniera per seguire le partite del campionato italiano in diretta era un flebile e precario ponte radio che un napoletano di nome Mimmo aveva creato nella veranda di casa sua. Con un’antidiluviana ma solida trasmittente da transatlantico e un antenna che pareva una canna da zucchero al vento, Mimmo riusciva a captare il segnale di Radio Uno dallo Yemen.
Chissà come ci arrivava, in Yemen, la voce di Roberto Bortoluzzi che a turno coinvolgeva Sandro Ciotti, Alfredo Provenzali, Ezio Luzzi e gli altri colleghi di “Tutto il calcio minuto per minuto”.
Mi ricordo bene, invece, come erano accolti i residenti italiani nella veranda del tifosissimo napoletano.
I partenopei (come mio padre e Vincenzo Prezioso, che aveva un negozio di pelletteria di fianco al Bar Bar) erano ospiti di riguardo, interisti e milanisti più o meno ignorati, juventini e romanisti dovevano portare generi di conforto e chi si presentava per la prima volta era obbligato a passare sotto le forche caudine di commenti, sfottò e pettegolezzi. Un rito di iniziazione in cui bastava non essere permalosi e rispondere colpo su colpo alle caustiche battute del comitato d’accoglienza.
Io ero un privilegiato, in quanto tifoso del Genoa, quindi non solo di una squadra lontana dai vertici, ma gemellata con il Napoli, oltre che figlio di sfegatato sostenitore napoletano amico di Mimmo.
Del comitato facevano parte anche il Colonnello, milanista, Ivano, giallorosso capitolino e Camillo, il toscanaccio tifoso della Juventus, le malelingue dicevano che fosse per il fatto che era un po’ gobbo davvero. Aveva il ghigno satanico di Andreotti, l’ironia appuntita del suo conterraneo Benigni e una vena di malvagità con cui fulminava chiunque osasse contraddirlo. Inoltre si portava dietro una claque composta da macchiette d’uomini, catapultati in Africa per svariati tipi di fallimento ed era il fulcro delle scommesse sportive, bancate anche in tempo reale.
Spesso si univano anche tifosi meno accesi che però avrebbero giocato soldi perfino alle corse dei granchi sulla spiaggia di Silversand.
C’erano Stefano Caramella e Stefano Mortadella (milanisti), Giorgio Mozzarella e Paolo Banana, i fratelli Trentavizi (che è il loro vero cognome, non un nickname), i cugini Enzino e Fabione (interisti) e molti altri.
All’epoca Malindi contava solo un migliaio di residenti, per la maggior parte di sesso maschile.  Anche chi non era tifoso di calcio e non ci capiva nulla, giocoforza lo diventava. Anche solo per ritrovarsi la domenica pomeriggio e sentirsi parte di una comunità. 
Il segnale radio però andava e veniva, e il buon Mimmo cercava di seguirlo vagando per l’enorme veranda come un rabdomante, insultando l’Africa, lo Yemen, Guglielmo Marconi e pure Bortoluzzi.
Con sussulti e gracchi, secondi di silenzio e fruscii continui, si arrivava decentemente al trentacinquesimo della ripresa, quando, con puntualità così poco africana, si sovrapponeva sulla frequenza mediorientale, un ignoto muezzin con la preghiera pomeridiana.
Solitamente accadeva durante la rincorsa di un calcio di rigore, o al riepilogo dei risultati parziali di tutta la Serie A.
Per dieci minuti buoni era il panico totale. Tutto poteva accadere e qualcosa sempre accadeva. L’Italia fremeva, gli italiani d’Africa pregavano… che tornasse presto la linea.
Per gli ospiti della veranda, era come se quella dannata cantilena araba durasse più di un’ora. In quel lasso di tempo  volavano centinaia di previsioni, gufate e certezze solari.
Camillo benediva quell’interruzione e la sfruttava per accettare ulteriori scommesse. Finita l’invocazione ad Allah,  c’era il tempo per il riepilogo dei risultati finali, per le bestemmie di rito di chi nel frattempo aveva subito un gol o una sconfitta e dei girotondi dei vincenti.
Se il Napoli aveva fatto risultato, via al dopopartita con commenti, risate e liti furiose, altrimenti Mimmo cacciava tutti da casa e la ciurma si trasferiva al Bar Bar da Germano, che teneva al Verona ma anche all’incasso della sua attività, quindi nella veranda di Mimmo non si faceva vedere".
Questa usanza da emigranti, da film neorealista pieno di Albertisordi e Ninimanfredi, durò un paio di stagioni. Poi ogni locale si procurò una radio satellitare e dal 1994 in poi si riuscivano a captare anche i primi segnali video per seguire le partite in diretta.
Ma questa è un’altra storia che vi racconterò in seguito.

 

TAGS: calcio kenyaserie a kenyaradio kenyarai italia

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