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POLITICA

Breve storia delle elezioni generali in Kenya

Come si arriva alla settima tornata

08-08-2022 di Freddie del Curatolo

Per la settima volta, i cittadini della Repubblica del Kenya, domani 9 agosto 2022, andranno alle urne. Da quando nel 1992 fu introdotto il multipartitismo, ogni cinque anni il paese è stato chiamato ad eleggere il Presidente, i parlamentari e da marzo 2013, dopo le modifiche alla costituzione che hanno introdotto la “devolution”, ovvero la divisione politica ed amministrativa del Kenya in 47 contee, anche i governatori ed i membri del consiglio di contea.

Vediamo in breve come è andata in passato e come ci si prepara per il presente.

1992: In un clima di comprensibile disorganizzazione e di potere da sempre in mano al successore del padre della patria Jomo Kenyatta, ovvero Daniel Arap Moi, la prima elezione multipartitica vede la divisione tra kikuyu (etnia di Kenyatta) e i kalenjin (etnia di Moi). Il vicepresidente di Moi, Emilio Mwai Kibaki, lascia la carica e fonda il Democratic Party, candidandosi presidente.

Alla fine la spunta Moi che viene eletto presidente e allo stesso tempo per legge non sarà più presidente a vita ma avrà al massimo due mandati a disposizione per governare. La composizione stessa del parlamento non gli darà possibilità di cambiare le regole. Nelle zone della Rift Valley tra Nakuru ed Eldoret scoppiano violenze tribali tra kikuyu e kalenjin che porteranno ad oltre 1200 morti.

1997: Senza particolari problematiche, Moi viene rieletto per il secondo mandato sempre contro Kibaki, ma con minore impatto sul popolo. I partiti di opposizione al KANU del presidente all’ultimo mandato hanno sempre più potere in parlamento.

2002: Moi cede lo scettro del KANU al giovane Uhuru Kenyatta, figlio di Jomo. Ma Kibaki, sostenuto anche dall’opposizione luo capeggiata da Raila Odinga, forma l’alleanza National Rainbow e diventa il terzo presidente del Kenya.

2007: L’infausto anno delle elezioni con strascichi molto vicino alla guerra civile. Mwai Kibaki si ripresenta per il secondo mandato e questa volta viene sostenuto da Uhuru Kenyatta, fuoruscito dal KANU. L’opposizione è guidata da Raila Odinga, che ha formato il suo partito, l’Orange Democratic Movement, a maggioranza Luo ma con rappresentanza Kalenjin e l’apporto strategico del politico rampante William Ruto. Odinga ha grande presa sulla povera gente, anche per via del passato socialista di Odinga, e sulla costa. Dopo una controversa trasmissione dei dati, Odinga il 27 dicembre 2007 denuncia che il voto è stato palesemente truccato.
Nelle settimane successive, gli scontri uccidono più di 1.100 persone e ne costringono 600.000 ad abbandonare le loro case in un Paese generalmente visto come un faro di stabilità in Africa. L'epicentro della violenza è la Rift Valley, dove i membri delle comunità etniche Kalenjin e Luo, che sostengono principalmente Odinga, si scontrano con i membri della comunità Kikuyu, a cui appartiene Kibaki. Il 28 febbraio 2008 grazie al lavoro di mediazione dell’ONU e del suo presidente Koffi Annan che si spende in prima persona, viene firmato un accordo di condivisione del potere, in base al quale Kibaki mantiene il suo incarico e Odinga diventa primo ministro. Nel 2010, la Corte Penale Internazionale dell’Aja apre un'indagine per crimini contro l'umanità sulle violenze post elettorali. Due anni dopo, i giudici confermano le accuse contro Uhuru Kenyatta e William Ruto per il loro presunto ruolo nelle violenze, ma saranno assolti rispettivamente nel 2014 e nel 2016.

2013: Il 4 marzo Uhuru Kenyatta, successore di Kibaki, vince le elezioni su Odinga, in un clima di forzata non belligeranza che si ripercuote positivamente sulle strade e nelle piazze. William Ruto decide di lasciare Odinga.
Un anno dopo Kenyatta diventa il primo presidente in carica a comparire davanti alla Corte penale internazionale.

2017: A fine agosto Kenyatta viene eletto per il secondo mandato contro l’ormai consueto rivale Odinga, con William Ruto come vicepresidente. Ma gli avvocati del partito ODM impugnano i risultati e denunciano intromissioni nel sistema tecnologico di trasmissione dei dati. Con un annuncio a sorpresa il primo settembre, i giudici dell’Alta Corte di Nairobi dichiarano i risultati dello scrutinio "nulli e non validi" e ordinano una ripetizione delle elezioni entro 60 giorni. L'annullamento è il primo della storia in Africa. Tuttavia Odinga non si presenta al bis delle elezioni di ottobre, denunciando nuove situazioni poco chiare. Questa volta il ricorso non viene accolto. Kenyatta viene rieletto in ottobre in un voto caratterizzato da una bassa affluenza alle urne. Decine di persone muoiono nelle proteste che seguono, particolarmente in scontri con la polizia, soprattutto nelle roccaforti di Odinga nel Kenya occidentale e negli slum di Nairobi. Pochi mesi dopo, nel febbraio 2018, i due leader politici stupiscono il Paese stringendosi la mano e dichiarando una tregua per il bene e la pace della nazione, lasciando il vicepresidente Ruto in disparte. L’alleanza in chiave politica crea un movimento interparlamentare per indire un referendum costituzionale: l’idea è quella di ricreare le condizioni del 2008 con un presidente e un primo ministro per permettere a Odinga di essere finalmente “rais” e a Kenyatta di mantenere il potere con un altro ruolo. Ruto si oppone e fonda un suo partito, United Democratic Alleance, schierandosi di fatto all’opposizione del suo stesso governo, in cui mantiene la carica di vicepresidente “separato in casa”.

2022: Kenyatta è alla fine del secondo mandato, ma il suo partito Jubilee a forte impronta kikuyu non avrà di fatto un candidato presidente. E’ nata la coalizione Azimio La Umoja che sostiene Odinga e se la vedrà con l’alleanza Kenya Kwanza in cui, oltre all’UDA di Ruto, converge il partito FORD degli ex ministri Mudavadi e Wetangula, di etnia Luhya, la seconda più popolosa del Kenya.
Con questa situazione, e continui salti di parlamentari e governatori da un’alleanza all’altra, ci si appresta a votare il 9 agosto 2022.

TAGS: politicaelezionipresidentearap moikibaki

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