Da oggi il Kenya potrebbe piacere un po’ meno al generale Vannacci e ai suoi fans.
Pur restando in vigore la legge che punisce fino a 14 anni di reclusione i cosiddetti “reati innaturali”, ovvero “l'avere conoscenza carnale con qualsiasi uomo, donna o animale contro l'ordine della natura”, la Corte Suprema di Nairobi ha confermato il diritto delle associazioni non governative che promuovono i diritti delle comunità LGBTQ+ a riunirsi e registrarsi come Ong.

I giudici hanno infatti respinto l’appello presentato dal parlamentare di Homa Bay, Peter Opondo Kaluma, che aveva contestato la decisione della stessa corte, emessa lo scorso febbraio, che di fatto annullava la sentenza del coordinamento nazionale delle Ong che non aveva concesso il diritto alla National Gay and Lesbian Human Right Commission (Nglhrc) ad essere formalmente riconosciuta come tale, accusata di "promuovere comportamenti omosessuali". La decisione dei giudici, con tre favorevoli e due contrari, aveva di fatto messo fine ad un decennio di battaglie dei gruppi Lgbtqia+, ed era stata considerata un primo passo verso il riconoscimento dei loro diritti in un paese che ancora criminalizza i loro orientamenti sessuali. La corte, tuttavia, ha sottolineato che tutte le persone, siano esse eterosessuali, lesbiche, gay, intersessuali o altro, saranno soggette a sanzioni se contravvengono alle leggi esistenti, comprese le sezioni 162, 163 e 165 del Codice penale.

Lunga quindi ancora la strada verso la completa libertà degli omosessuali. Ma in altri paesi africani, l’Uganda ad esempio, la situazione è ancora più difficile per loro. Il governo di Kampala infatti prevede addirittura l’ergastolo per chi si rende responsabile di atteggiamenti non eterosessuali in pubblico. Per questo motivo il governo americano ha minacciato più volte di chiudere ogni rapporto diplomatico e commerciale con l’attuale amministrazione del presidente Yoweri Museveni che, per tutta risposta, ha dichiarato di non accettare imposizioni da parte del mondo occidentale. Anche il leader keniano William Ruto, come già il suo predecessore Uhuru Kenyatta, seppur con posizioni leggermente meno “integraliste” sembra seguire la stessa linea.