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EDITORIALE

Italia-Kenya, tempo di riaprire ciò che è già aperto

Le contraddizioni attorno ad una decisione che non arriva

28-01-2022 di Freddie del Curatolo

Il Kenya non è Phuket.
Per fortuna.
Il Kenya non è Marsa Alam, Aruba, Mauritius.
Qualcuno stenterà a crederci: il Kenya non è nemmeno Santo Domingo.
Il Kenya non è una località turistica, è un mondo.
E come tutti i mondi possibili, non lo puoi chiudere in una cupoletta di vetro con la sabbia alla base, due animaletti, un baobab mignon e il blu dell’oceano colorato a tempera.
Se invece di riapertura totale dei viaggi e del turismo, in Italia si sta ancora a parlare di “corridoi covid free” è anche normale che il Kenya non abbia niente a che fare con queste logiche da tour operator. Perché il Kenya non ha corridoi, né tinelli e guardaroba. Il Kenya è un immenso spazio aperto, un florilegio di terrazze che si affacciano sull’immensità. Probabilmente è questo uno dei motivi per cui si è salvato, come buona parte dell’Africa, dall’ecatombe pandemica prospettata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Purtroppo le stesse ragioni ne frenano la riapertura da parte di chi, come il Governo italiano, non ha molto tempo per informarsi su come si vive davvero in questa parte di universo e si affida a numeri di vaccinati e qualità del servizio sanitario. Cuba riaperta perchè sono tutti vaccinati (con vaccino cubano in cui al posto del 5G chissà cos'hanno iniettato...), la Turchia perchè si fidano di Erdogan e Singapore perché per turismo ci vanno giusto quei quattro eccentrici che si sono stancati di andare per la centesima volta a Dubai.
Iniziamo allora dal fondo: uno Stato come si deve, che ha a cuore la salute ma anche la vita sociale, il benessere fisico e mentale dei propri cittadini, ben sapendo che frustrazione e limitazioni della libertà sono alla base del malcontento sociale che poi sfocia in violenze di ogni genere, disagio giovanile e depressione, cancellerebbe da subito la “Fascia E”, permettendo a chiunque di poter decidere dove andare in vacanza. Allo stesso tempo però imporrebbe l’obbligo di stipulare un’assicurazione sanitaria che ne copra ogni spiacevole inconveniente. Perché ormai, come in Kenya così in quasi tutte le destinazioni frequentabili da turisti, la sanità privata è a buoni livelli, pagando profumatamente. Invece cosa sta accadendo, da mesi a questa parte e ancor più dall’inizio dell’inverno? Che gli italiani agilmente eludono i controlli, partono per l’Est Africa con o senza assicurazione, e rischiano più così che a frontiere aperte. Anche perché nel caso succedesse loro qualcosa, si troverebbero nella condizione di non essere in regola e certe assicurazioni potrebbero anche rifiutarsi di pagare, mentre altre non accettano comunque di sottoscrivere alcunché, se sanno che la destinazione del viaggio è un Paese vietato.
In questo senso, e torniamo alla prima questione, il discorso vaccinale per chi viaggia diventa secondario, anche perché da quando il Kenya obbliga chi arriva dall’occidente ad avere il Green Pass e i suoi stessi cittadini ad esibirlo prima di uscire dal paese stesso, si sono posti importanti paletti.
Poi c’è il discorso delle classi sociali. Se i numeri dicono che sono 11 milioni attualmente i vaccinati e circa 6 milioni quelli con passaporto vaccinale, bisogna anche conoscere la realtà economica del Kenya. I ricchi, ovvero le persone che possono viaggiare all’estero per piacere, superano di poco i 2 milioni, e sono tutti vaccinati. La riprova si è avuta a Natale, quando negli hotel e lodge di livello in Kenya non ci sono state cancellazioni da parte dei clienti locali per via dell’obbligo di esibire il certificato vaccinale. A questi si aggiungono i lavoratori dei settori sanitari, pubblici e del comparto turistico. Tutti gli altri, probabilmente, non si vaccineranno mai, anche perché l’Alta Corte del Kenya si è espressa contro l’obbligo vaccinale. Ma si tratta quasi esclusivamente di popolazioni che molto raramente possono venire a contatto con i turisti occidentali e che, salvo in casi eccezionali, mai si troveranno a viaggiare all’estero.
Quindi se il timore italiano fosse quello di non riuscire poi a controllare flussi e ritorni di connazionali e di trovarsi infettati da chissà quale altra variante bantù, il problema è praticamente nullo, sono i nostri governanti ad averlo creato e a non volerlo risolvere, perché la “fuga dalla realtà” anche solo temporanea dei propri cittadini non rientra nelle priorità della nazione.
E noi, che conosciamo bene la situazione, ci troviamo di fronte ad un evidente paradosso: il Kenya non si può riaprire perché è apertissimo, da sempre.

TAGS: riapertura kenyarestrizioni kenyaviaggi kenyafascia E Kenya

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