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POLITICA

Le mosse di Kenyatta per restare in sella

Corte Suprema e alleanze: le sfide per non perdere il potere

22-02-2022 di Freddie del Curatolo

Mentre il Paese attende un’indicazione definitiva, almeno fino alla prossima legislatura, sulla composizione dei posti di comando del governo da parte della Corte Suprema che dovrà pronunciarsi sulla costituzionalità o meno della “Building Bridge Initiative”, cresce il fronte di politici e politologi che si aspettano un colpo di teatro da parte del supposto presidente uscente Uhuru Kenyatta.
Riassunto delle puntate precedenti: il prossimo 9 agosto si andrà alle elezioni. Uhuru Kenyatta, che ha governato negli ultimi 10 anni con il suo partito Jubilee, per legge non potrà essere rieletto.
A differenza di molte altre nazioni del continente africano, fino ad ora il Kenya ha mostrato una vena democratica, una vis parlamentare e un’indipendenza della magistratura di tipo occidentale, evitando episodi di prolungamento di mandato o modifiche costituzionali come quelle che hanno permesso ai vicini di casa Paul Kagame e Yoweri Museveni di comandare rispettivamente in Ruanda da 20 anni e di fare lo stesso addirittura dal 1986.
Tuttavia attualmente lo scenario politico in Kenya è alquanto insolito e bizzarro.
Dopo le elezioni del 2017, per scongiurare violenze nel paese e il ritorno di un preoccupante tribalismo, Kenyatta e lo storico leader dell’opposizione Raila Odinga, fondatore dell’Orange Democratic Movement (ODM) si strinsero la mano e da quel gesto nacque una collaborazione sfociata in una sorta di alleanza in parlamento che ha di fatto tagliato fuori il vicepresidente William Ruto, un tempo alleato di Odinga e poi stratega decisivo per le vittorie di Kenyatta.
La frattura è apparsa netta e non ricomponibile quando Kenyatta e Odinga hanno intrapreso la Building Bridge Initiative (BBI) con l’obbiettivo non solo di ridurre gli istinti d’odio razziale (Kikuyu e Luo sono le due tribù storicamente rivali in Kenya, mentre i Kalenjin di Ruto hanno spesso svolto il ruolo di ago della bilancia) ma anche quello di chiamare i cittadini al referendum per cambiare la composizione dei piani alti del governo, passando dall’attuale formula con Presidente e Vice, ad una più composita soluzione “alla francese” con Presidente, Primo Ministro e ben due vice per ognuna delle cariche. Un escamotage che allo stesso tempo consentirebbe a Uhuru Kenyatta di rimanere in sella al paese, seppur con la carica di primo ministro ed aggirare di fatto lo stop dopo il secondo mandato, al settantasettenne Raila di coronare il suo sogno di Capo di Stato, dopo aver perso per tre volte di seguito.
Ma non solo, le 4 cariche minori potrebbero essere equamente divise tra le altre tribù meno potenti, in passato alternativamente alleate con l’una o l’altra fazione. Si tratta dei Luhya (seconda tribù più popolosa del Kenya, capitanata dal già vicepresidente Musalia Mudavadi), degli Akamba dell’altro ex vicepremier Kalonzo Musyoka e dagli stessi Kalenjin, che oltre al neo oppositore Ruto, possono vantare Gideon Moi, figlio del secondo presidente del Kenya, Daniel Arap Moi. Il quarto prescelto potrebbe essere un leader islamico della costa, come il governatore uscente di Mombasa Hassan Joho (ODM), o un altro kikuyu in quota Jubilee, a secondo dei voti presi.
L’intendimento dei due leader, però, per ora rimane un sogno nel cassetto, con grande soddisfazione di William Ruto che pur essendo candidato d’opposizione alle prossime elezioni con la sua nuova formazione United Democratic Alliance (UDA), di fatto ricopre ancora la carica di vicepresidente del governo Jubilee.
Infatti, dopo essere passata in parlamento e nella maggioranza delle Contee, come vuole la legge, la BBI è stata dichiarata incostituzionale dall’Alta Corte ed il 21 agosto scorso, anche la Corte d’Appello ha respinto la richiesta di referendum costituzionale.
Tra qualche giorno, come detto, la Corte Suprema sarà chiamata a mettere la parola fine alla contesa ma da più parti si pensa che Uhuru Kenyatta abbia già altre carte da giocare, nel caso venisse confermato il no alla BBI.
Secondo l’analista politico Barrack Muluka, Uhuru è deciso a restare in qualche modo al potere ed avere un ruolo nel prossimo governo, ammesso che Odinga riesca a prevalere sul rampante Ruto.
“Il suo controllo del Jubilee Party e la risoluzione del gruppo parlamentare del partito di due settimane fa, secondo cui sarebbe rimasto come leader del partito dopo agosto, sono indicativi – spiega Muluka - Questo e altri aspetti suggeriscono che Uhuru potrebbe non essere entusiasta del ritiro e che in un modo o nell’altro riesca ad inventare una posizione di primo ministro per lui”.
Circostanza ribadita da Martha Karua, presidente della National Rainbow Coalition Kenya (NARC), partito conservatore storicamente alleato di Kenyatta ma in disaccordo con le sue scelte di appoggiare la candidatura di Odinga.
Karua, inserita comunque nel ventaglio dei possibili candidati vicepresidenti dello stesso leader ODM, ha lasciato intendere che Kenyatta potrebbe effettivamente pianificare di succedere in qualche modo a se stesso, piuttosto che mettersi a riposo per 5 anni.
"Abbiamo sentito che il procuratore generale è stato citato in alcuni rapporti dicendo che non c'è nessun ostacolo costituzionale che impedisca al presidente Kenyatta di essere nominato primo ministro nel governo successivo – ha detto pubblicamente Karua – Questa cosa sarebbe illegale. Il limite di 10 anni per i presidenti in carica è stato messo in atto proprio per consentire una nuova conduzione del paese dopo un determinato periodo”.
A questo punto la sentenza della Corte Suprema appare come la chiusura di un periodo di stallo politico dopo il quale, in un verso o nell’altro, a sei mesi dalle votazioni, verranno chiarite molte cose, a partire dalle alleanze con cui i due pretendenti si presenteranno agli elettori.
Da una parte Musalia Mudavadi e Moses Wetangula, i due prominenti Luhya, hanno già scelto di appoggiare la candidatura di Ruto, mentre Kalonzo e Moi tentennano, ma parrebbero essere in ottica Kenyatta-Odinga. La coalizione OKA, formata proprio dai 4 outsider e che avrebbe dovuto esprimere un proprio candidato, è durata quanto la schiusa di un uovo di quaglia.

TAGS: politica kenyakenyatta odingacostituzione kenyacorte kenya

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