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CRONACA KENYA

Medici keniani in sciopero da un mese, sanità in ginocchio

La situazione nel paese, i rischi e le prospettive

11-04-2024 di Freddie del Curatolo

La sanità pubblica del Kenya è paralizzata da quasi un mese, ovvero da quando i medici degli ospedali statali hanno deciso di scioperare per chiedere con l’unica maniera “di rottura” ed alzando la voce al governo di rispettare le sue promesse e ridiscutere il contratto di lavoro.
Le promesse, secondo il sindacato Kmpdu, che raccoglie praticamente tutti i medici pubblici del paese e conta circa 7 mila iscritti, riguardano un migliaio di praticanti a cui, dopo un anno di tirocinio non retribuito, era stata prefigurata l’assunzione e l’inquadramento, con il relativo stipendio.
In più i sindacati vogliono sedersi con il governo per ridiscutere i termini dei loro contratti.
Normali vertenze tra maestranze e datori di lavoro, si potrebbe pensare, se non che in Kenya spesso accade che lo sciopero venga da subito dichiarato illegale, benché per costituzione sia un diritto, come in molti altri paesi del mondo, che le richieste delle categorie partano dalle stelle per poi contrattare e che i rappresentanti delle istituzioni rispondano candidamente, nel caso in questione il presidente William Ruto in persona, “scusate, ma non abbiamo soldi”. Secondo i media, il ministero della Sanità avrebbe chiesto il mese scorso circa 5 miliardi di scellini kenioti, (32 milioni di euro) per iniziare ad assumere gli ex praticanti, senza esito.


Questo sciopero, per l’ennesima volta, fa luce sul problema della disoccupazione forzata di tanti laureati e di personale qualificato che spesso hanno fatto sacrifici, con le loro famiglie, per frequentare le scuole del paese e a cui sembrerebbe naturale trovare lavoro, data l’endemica carenza di personale nelle strutture pubbliche. Ma alla mancanza di dipendenti, si aggiunge quella del bilancio dello Stato, che spesso sceglie di investire in altri settori definiti “strategici”, o ne è costretto. Il detto “l’importante è la salute” non sembra essere di queste parti.
Così lo sciopero va avanti dallo scorso 13 marzo e chi ci rimette, chiaramente è la popolazione ed in particolare le fasce più povere, quelle che non si possono permettere di accedere alla sanità privata, come è ormai consuetudine invece della classe media e dei ricchi, compresi gli stranieri.
Gli ospedali pubblici, tranne rari casi, non garantiscono servizi adeguati, hanno spesso strumentazioni desuete o non funzionanti, tempi di attesa biblici e se si salvano e salvano vite, lo fanno quasi sempre grazie alla preparazione, alla volontà e alla predisposizione d’animo del personale che vi lavora.
In Kenya accade però anche che quelli convenzionati, ovvero i nosocomi d’ispirazione islamica, cristiana o induista e strutture private dedicate ai bisognosi, sono costrette a pagare sottobanco i medici iscritti ai sindacati per averli in organico. Per molti di loro, quindi, lo sciopero ha una doppia valenza: da una parte si protesta, sperando di ottenere benefici, dall’altra non si rischia di rimanere senza stipendio.


Anche perché quando è lo Stato a pagare, scattano già licenziamenti, nonostante non si riesca a valutare bene se la causa sia “giusta” o meno.
Insomma, un gran caos culminato in una grande manifestazione pacifica, martedì scorso a Nairobi, mentre nei principali ospedali del paese, dalle code dei primi giorni di pazienti, anche non gravi, si è passati allo sconforto e alla disperazione di chi tenta inutilmente di essere curato e di chi, a causa dei disservizi, ha perso una persona cara. Le code invece da una settimana a questa parte, si registrano al confine con la Tanzania, particolarmente nella regione del Kilimanjaro, dove migliaia di malati chiedono di poter essere curati nella nazione vicina. Ad Arusha, la città più vicina al confine in cui vi sono ospedali degni di questo nome, molte cliniche si stanno attrezzando per ricevere più pazienti del normale ed applicare prezzi “popolari” per invogliare i vicini di casa, mentre altri dispensari si prodigano in visite specialistiche.
Altro dato che ci avvicina alla realtà africana, è il ritorno di molti abitanti delle zone rurali del Kenya, che costituiscono due terzi della popolazione, alle pratiche di un tempo, legate alla medicina tradizionale, ai guaritori ed erbalisti, se non addirittura alla stregoneria.
Purtroppo, ad oggi, non si vedono spiragli per questa situazione senza precedenti, per la durata dell’agitazione sindacali e per la fermezza di entrambe le fazioni: il sindacato ha rifiutato una prima proposta del governo sull’aumento dei salari minimi, che è stata ritenuta inadeguata. Dall’altra parte il governo ha dichiarato che le richieste dei medici sono esagerate.

TAGS: sanitàmediciospedaliscioperoassistenza

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