L'angolo di Freddie

L'ANGOLO DI FREDDIE

I bambini di strada di Malindi e l'italiano

Storie di sorrisi e di speranza in tempi difficili

24-04-2021 di Freddie del Curatolo

“Buongiorno, signore”

Malindi, Kenya.
Nel 2021 è ancora normale sentirsi apostrofare con un “ciao” dai bambini locali.
Alla fine del secolo scorso, i locali lo imparavano dai turisti, dai proprietari di ville e appartamenti della prima invasione residenziale.
Ora lo avvertono nell’aria, fa parte dei fonemi trasportati dal vento in spiaggia, verniciati sui muri di Lamu Road, appiccicati all’umidità delle piante tropicali.
Lo usano i genitori e i fratelli più grandi come intercalare e qualche parola è entrata nell’uso comune anche quando non ci sono mzungu nei paraggi.
I nuovi ragazzini di strada, che in questo periodo di pochissima scuola e di molta fame sono purtroppo aumentati, agitano le loro piccole mani, si appostano ai lati delle strade e urlano i loro saluti sorridenti per farsi notare.
Chissà, quei bianchi si fermeranno e magari avranno una caramella o una moneta per noi, magari ci portano a fare un giro sulla loro bellissima automobile o a fare tuffi nella piscina della loro casa da ricchi.
Gli italiani sono ancora parecchi, nonostante tutto.
Non hanno tutti una bellissima automobile e una casa da ricchi con la piscina ma nessuno vive di stenti.
Anche se con il calo inevitabile del turismo stanno diventando merce rara e fatalmente diminuiranno, non si potranno cancellare quaranta e più anni di presenza a Malindi e dintorni.
La popolazione locale e specialmente i ragazzini, da sempre più ricettivi, hanno imparato i loro usi e costumi, conoscono le loro abitudini e si sono abituati al loro modo di fare.
Sanno quando si può tentare un approccio o quando e meglio stare alla larga, perché gli italiani non sono tutti uguali.
Ci sono quelli che si voltano da un’altra parte perché i poveri sono troppi, quelli che non riescono a non scucire almeno una monetina, quelli che hanno privilegiato il figlio di un loro dipendente, di una madre o un padre a loro simpatico, un orfanello, l’ospite di un centro di accoglienza o uno studente particolarmente brillante.
Ci sono quelli della “solidarietà da caramelle” e quelli che sembrano colonnelli dell’esercito, ma alla fine fanno il bene di tanti bambini di Malindi.
I mzungu, almeno qui, vanno comunque ringraziati e quel che si può donare a tutti è un sorriso, accompagnato da un saluto.
Non costa niente, soprattutto non provoca dolore, fatica e disagio.
Per quello c’è già la vita nelle capanne, la coda fuori dagli ospedali alla spera-in-dio, il lavoro duro nei campi della mamma e quello in cantiere di papà, che spacca blocchi di marmo per 2 euro al giorno e c’è da sperare che con un euro e mezzo non si ubriachi.
Un sorriso.
Un saluto.
Eppure qualcosa distingue il saluto appassionato di Kaingu da quello degli altri bimbi vestiti di pochi stracci impolverati e di una gioia che prendono direttamente dalla terra, come radici che si nutrono di sole, frutti della natura e umidità.
Kaingu dice “buongiorno, signore”, non “ciao”.
E’ l’equivalente del classico benvenuto keniota, che in swahili suona “Jambo bwana”.
Come quella canzoncina orecchiabile che illustra come il rito di ossequio per i nuovi arrivati sia praticamente l’inno nazionale, da queste parti.
Kaingu ha nove anni, forse.
Forse otto, a scuola ci va da meno di due anni, ma non ha molta voglia di studiare.
Ma la sua età parte da quando è stato battezzato, lo stesso giorno i genitori lo hanno registrato all’anagrafe.
Due doveri al prezzo di uno.
I suoi coetanei inseguono un paio di scarpe, una maglietta colorata, una bella penna da mostrare ai compagni di classe con orgoglio e far gonfiare d’invidia quelli che dicono “sei amico di un mzungu, di un bianco, non ti vergogni?” ma in realtà sognano una penna uguale, e un amico diverso dai soliti.
Kaingu invece non è una sorridente vittima della “solidarietà da caramelle”.
Nonostante sia refrattario allo studio, dimostra una grande predisposizione ad imparare e la sua viva curiosità andava premiata.
Perché anche un ragazzo di strada può diventare professionista nel suo mestiere.
Ha ricevuto un dono per lui preziosissimo e che a differenza da quanto venisse da pensare di primo acchito, non ha ancora venduto: un dizionario italiano-swahili.
Ogni giorno Kaingu impara una parola nuova e la pronuncia davanti a un mzungu per vedere l’effetto che fa.
Quando qualcuno lo corregge sull’accento o sulla corretta pronuncia si corruccia, sgrana i grandi occhioni neri e chiede “scusa?” fino a che l'italiano non gli ripete la parola. A quel punto il piccolo ed efficacissimo registratore nella testa del bambino è già in funzione.
Non scorderà quella parola per il resto della vita.
Telefono cellulare, Quaderno, Pantaloni, Gelato, Macchina, Mangiare, Stanco, Correre.
Ogni giorno una decina di vocaboli nuovi.
Da solo, a nove anni sta imparando una lingua.
Ieri qualcuno ha risposto con un proverbio al suo saluto: “finché c’è vita c’è speranza”.
“Finché c’è vita c’è speranza”: lo ripete tutto il pomeriggio e guarda nel suo dizionario, stretto tra le mani come un gioiello o un rosario.
Vita – speranza.
Adesso il suo saluto è completo e non può che far sorridere ma anche stringere il cuore:
“Buongiorno, signore! Finchè c’è vita c’è speranza”.

TAGS: bambini malindistorie malindiitaliano malindi

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