L'angolo di Freddie

L'ANGOLO DI FREDDIE

La 'mia' Milano dall'Africa

Pensieri trovando il Duomo in un hotel di Nairobi

18-11-2023 di Freddie del Curatolo

In Italia cercavo un po’ d’Africa in giardino, a Nairobi trovo la mia Milano in un hotel.
Non sono un nostalgico, non sogno il ritorno in patria da figliol prodigo e non mi auguro quello con le pive nel sacco.
Ma non sono nemmeno di quelli che negano le proprie origini, perché hanno abbracciato un nuovo paese, una filosofia più “internazionale” e ti dicono “sono cittadino del mondo” oppure "nemo propheta acceptus est in patria sua".

Il mio legame con il Paese in cui sono nato è indissolubile, in primis per la passione per la lingua italiana e la sua cultura, poi per vino e cibo, l’arte e la bellezza dei paesaggi…non ho detto la gente?
No, non l’ho detto.

Anche il mio legame con Milano è indissolubile.
Quando cresci e lasci Milano, non ti sentirai mai un vero emigrante. Ringrazierò sempre “Milano vicino all’Europa”, per avermi aperto le vedute come lei apriva le sue gambe, per avermi fatto entrare al liceo Parini e avermi scaraventato fuori, per la palestra del Corriere della Sera e la ginnastica mentale delle cineteche in cui seguiva sempre il dibattito, per il teatro visto e recitato, il jazz ascoltato e purtroppo mai suonato.
Per avermi fatto fare il medio borghese, l’anarchico, il radical chic, il cantante rock e anche un po’ il pirla.

E allora facciamoci fare questa foto, Milano.
Nella più classica, banale delle ipotesi: insieme al "Domm".
Pensiamo alle tue luci, alle vetrine, ai caffè.

Anche se la Milano che amavo era più quella “liquida e malinconica” (come diceva Jannacci) dei Navigli, la “bottiglia d’orzata in cui galleggia”, la bicicletta sul pavè a dribblare le rotaie del tram, le partite di pallone al parco a dribblare le siringhe dei tossici, le nottate a cercare l’anima nei clochard aspettando il profumo d’inchiostro del giornale all’edicola e quello delle brioche calde dei fornai.

Erano le librerie polverose in cui mi perdevo, le lezioni ascoltate da vecchi intellettuali con i pullover infeltriti e la puzza di piscio di gatto in casa, l'incontro con musicisti sfuggenti e pittori pazzi, scrittori alcolizzati e industriali illuminati, redattori da cui imparare e giovani politici da cui prendere le distanze.

Milano erano attici di amici dalla vita spianata, fidanzatine col tailleur a sedici anni, vinili rubati, vite bruciate, vetri rotti e lampioni fumanti sotto la pioggia.

E' corso Sempione vuoto in una domenica di primavera, con l'aria fresca e frizzantina e lo sfondo dei monti ancora innevati, è il risotto nella forma di grana padano dal Pelè, vicino all'abbazia di Chiaravalle, le giornate infinite con gli Elii, a cucinare ed ascoltare registrazioni, le interviste a rockstar e starlette, le conferenze stampa a suon di tartine e campari che spaccavano il fegato e finivano sempre con il monito "write drunk, edit sober".

Perché l'essenza di Milano sa di austero, snob, a volte anche un po' di muffa, ma ogni tanto è una dolce, alta glicemia e se ti lascia l'amaro in bocca, è solo per via di quel po' di Austria, di teutonico che ha sempre avuto.
Amaro Jaegermeister.

Non sono nostalgico, se lo fossi scriverei di questo.
Ma non è più il tempo della nostalgia, non è più il tempo di scrivere.
Oggi si dimentica tutto in un attimo e si fanno selfie per ricordare quell’attimo in cui stavi per dimenticare tutto.
E nel vuoto dello sguardo da scemo del selfie, c’è tutto quello che non riesci a dire di te e quel che non ricordi di aver pensato.

Che ne dici, Milano mia?

TAGS: freddiemilanoraccontonostalgia

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