“Il mare d’inverno è un concetto che nessuno mai considera”, cantava Enrico Ruggeri.
L’equatore non ha inverni, ma solo una stagione secca ed una umida, almeno così dicono e così era quando il bambino era bambino e il clima era clima.
Oggi se è vero che il Kenya non subisce l’impietosa sorte dei proverbi che vanno a farsi benedire nei fiumi in piena e nei laghi prosciugati, quindi non teme che non ci siano più “le mezze stagioni” perché di stagioni ne ha sempre avute soltanto due, c’è pur sempre la dura legge della stagione turistica, che da sempre si divide in “alta” e “bassa”, un po’ come Bergamo. Sarà per questo che è pieno di “pota people” a Malindi e dintorni?
In ogni caso, da qualche anno ci sono sempre più connazionali che prolungano il loro soggiorno sulle rive dell’oceano indiano, nonostante la chiusura dei charter, di qualche ristorante, dei locali con lettini e ombrelloni. I motivi? Fondamentalmente, dopo una stagione ottima e abbondante di turisti come questa, il relax, la santa pace che alberga tra le gocciole sulle palme e nei rivoli a bordo strada.
Siamo in un paese dove è fin troppo facile accorgersi che c’è chi, specialmente durante le piogge (ma che dire di quando c’è la siccità?) sta molto, molto peggio di noi. Mai lamentarsi in Africa, specialmente se è per dire che l’umidità si appiccica alla pelle, che aumentano le zanzare e non si può passeggiare tutti i giorni in spiaggia. Il periodo che va da fine aprile ai primi di luglio, per chi frequenta la costa keniota, può diventare l’occasione per tanti italiani di entrare davvero in sintonia con questi luoghi, e non considerarli solamente il “paradiso del sole e del mare”, dei rigurgiti di mondanità vacanziera anche d’inverno, delle studentesse e dei beach boys. L’occasione per vivere e sentirsi “fuori stagione”, e non solo “fuori”.

A compendio di queste considerazioni, eccovi una “instant song” (altri direbbero, un’improvvisazione) di Freddie e Sbringo sul tema, direttamente dall’Olimpia Club di Malindi.