Opinioni

OPINIONI

Registrare un disco italiano in Kenya nel 2021

Viaggio controcorrente nella produzione di un ossimoro

11-03-2021 di Marco "Sbringo" Bigi

UN DISCO?
NEL 2021?
IN KENYA?
IN ITALIANO?
Mi piace contraddirmi, sono un amante degli ossimori e quindi oggi parlerò (1) del disco “C’ERANO UNA VOLTA GLI ITALIANI IN KENYA”, al quale sto lavorando insieme al mio compare Freddie del Curatolo e poi parlerò (2) del perché non ha più senso fare dischi oggi.
Mettetevi comodi se avete tempo di leggere, se no andate sul profilo facebook e postatemi una faccina sorridente e allora gioirò del fatto che avete cose più importanti da fare.

(1) REGISTRARE UN DISCO

Ebbene sì, siamo qui a Malindi a leccarci ferite che non abbiamo, costretti in una non costrizione e quindi che facciamo?
Ma sì, non potendo esibirci, riuniamo in un album il meglio della nostra produzione.
All’età che ho, non perdo tempo prezioso a conteggiare il rapporto profitti/perdite, preferisco sprecarlo come più mi aggrada.
E allora mi butto nell’avventura.
Confesso che mi sto divertendo come un pazzo a spremere il limone della scarna tecnologia mal funzionante e malata di mal d’Africa che ho qui.
Se passate a trovarmi a Malindi nel mio appartamento riadattato a studio, potreste assistere a scenari degni di nota:
- Faccio accrocchi incredibili di cavi e aggeggi che l'altro ieri funzionavano, ieri no, oggi miracolosamente sì, domani chissà, mentre do delle vigorose paccate sul mixer cuffie che, di solito, interrompe il fastidioso ronzio a 50 hz dopo la terza o la quarta botta.
- Tutte le prese jack e cannon dei cavi che collegano tra loro strumenti, microfoni e mixer, vivono di vita propria concedendo il loro funzionamento in base alla direzione apparente in cui il pianeta Mercurio percorre la sua orbita.
- Il mio povero Mac, considerato vetusto dalle convenzioni del mercato, tossisce, ha la febbre, strani colori appaiono ai lati dello schermo ma, imperterrito, porta a termine il suo lavoro impiantandosi raramente. Ovviamente si impianta. facendomi perdere il lavoro, solo quando mi sono dimenticato di effettuare un salvataggio da almeno un’ora.
- L’interfaccia MIDI (altro aggeggio che faceva dialogare il mac con il piano elettronico che ho a casa) comprata a ottobre con Jumia (Amazon locale) in offerta a 700 scellini, proprio ieri si è surriscaldata con la sola forza dei 5 volt dell’usb del computer e ha smesso di diffondere deliziose lucine colorate come un albero di natale (funzione inutile - se non per capire se l'interfaccia sta lavorando - ma evidentemente essenziale per i cinesi).
Mentre gettavo l’aggeggio irreparabile nella spazzatura, pensavo tra me e me: "porca miseria, c’è una sola cosa cinese che dura nel tempo..."
Chi indovina cos’è vince una mascherina con la chiave di violino disegnata sopra.
- Della mia preziosa tastiera Korg non parlo per scaramanzia.
- Il tutto sperando che la Kenya Power (società elettrica locale), conceda l’erogazione di corrente per tutta la durata della sessione.
- Quando registriamo le voci, per disperazione, abbiamo deciso di ignorare - tanto sono lì che aspettano in silenzio che io pigi il tasto “REC” per esplodere - cornacchie gracchianti, bambini urlanti, genitori che urlano per chiamare i bambini, mame che discutono animatamente stando sedute esattamente sotto la finestra della stanza adibita a studio, camion che fanno le prove motori, vicini del piano di sopra che spingono mobili pesantissimi e animali vari che diventano improvvisamente loquaci.
- Vietato registrare la domenica. La vicina Chiesa Battista del Settimo Profeta Orbo organizza messe cantate con un volume tale che in confronto i Metallica eseguono ninne nanne.
Insonorizzare lo studio? Per poi morire di caldo? Ma per favore!
Tra un gorgheggio e un assolo si sentirà una cornacchia che gracchierà… rigorosamente a tempo.
Il tempo in Africa è un concetto astratto e secondario...il disco dovrebbe uscire il prossimo autunno ma se in Italia non ci sono più le mezze stagioni, in Kenya non ci sono mai state.

--

(2) PERCHÉ NON SI FANNO PIÙ DISCHI

C’erano una volta degli oggetti rotondi che, grazie a un microsolco o a un’incisione laser, offrivano la possibilità di ascoltare musica.
C’erano una volta i negozi di dischi, nei quali giovani di ogni età scartabellavano tra centinaia di proposte, sceglievano, acquistavano, portavano a casa e ascoltavano la loro musica preferita.
Cos'è successo? Dove sono finiti?
Chi li compra più, a parte i maniaci collezionisti che spulciano tra le bancarelle delle fiere del vinile?
Ho letto un libro di Stephen Witt che consiglio vivamente di leggere: "Free: la fine dell'industria discografica e l'inizio del nuovo mondo musicale", è illuminante.
Cito la descrizione:
La più grande storia mai raccontata su come la musica cominciò a essere piratata, l'industria musicale venne messa in ginocchio e le nostre vite furono definitivamente catapultate online. Tre vicende incredibili e mai esplorate prima. Quella del potente discografico Doug Morris. Di Karlheinz Brandenburg, l'ingegnere tedesco inventore dell'mp3. E soprattutto di Dell Glover, il «paziente zero», il più grande pirata musicale di sempre. Perché, alla fine, le grandi rivoluzioni sono fatte da una manciata di persone. Frutto di anni di ricerca e a metà strada tra inchiesta, saggio e romanzo d'azione, "Free" ripercorre ogni tappa dell'era della pirateria: dalle prime piattaforme di file-sharing alle indagini dell'FBI e ai successivi processi, fino a una sorta di legalizzazione che ha permesso ad Apple di trasformare in business il mercato clandestino degli mp3, cambiando per sempre il nostro modo di pensare alla musica.
Personalmente aggiungo che il "business" della Apple non è poi così vantaggioso per gli artisti.
Da Itunes arrivano poche briciole, lo posso confermare dalle mie opere che hanno avuto un buon seguito, ma soldi... mai visti perché, se non ti chiami Mina Mazzini, non si raggiunge mai la quota minima che dà il via all'elargizione dei compensi. Va detto che di download delle canzoni che scrivevo per l'Albero Azzurro negli anni Dieci (del terzo millennio, ovviamente), ce ne sono state a migliaia.
Nel libro "Free" si racconta come l'industria discografica crollò definitivamente nel 2005 mentre la gente ormai dava per assodato che la musica si scarica gratis dalla rete. Eh già. E i musicisti come cavolo fanno a mangiare?
In un modo molto semplice, smettono di suonare o relegano quest’attività al ruolo di hobby e si trovano un altro lavoro.
Ho visto decine di studi di registrazione chiudere baracca nel primo decennio di questo secolo, mentre in quello scorso, dalle royalties derivanti dalla vendita di dischi e dai diritti d'autore, i musicisti e i compositori potevano non solo campare, ma anche godersi la vita. Ora a fatica comprano uno strumento musicale a rate e si mettono in fila alle jam session ove si suona, ovviamente gratis.
E' il sistema che ha deciso che i musicisti (e tutte le categorie legate alla produzione musicale: autori, tecnici del suono, arrangiatori, produttori, ecc.) sono una categoria di serie B: l'unico modo che si ha oggi di produrre musica è di "regalare" le proprie opere alla rete (Youtube, Spotify, Itunes, o altro) e di "sperare" in un numero esorbitante di visualizzazioni per intascare qualche briciola del business pubblicitario. I dischi? No, quelli non si vendono più, la gente comincia anche a non avere più in casa nemmeno il lettore CD.

Ma noi siamo controcorente come il barcarolo e ce ne freghiamo. Presto avvieremo una campagna di acquisto preventivo (ci sforziamo di non chiamiarlo “crowdfunding” come fanno tutti...) per ripagarci almeno le Tusker baridi sana che abbiamo bevuto durante le registrazioni.
Se non avete un lettore CD, vi inviamo via mail una copia (sigh!) digitale dell’album.
Se non avete un computer veniamo a fare un concerto privato a casa vostra.
E poi vi facciamo un applauso.

TAGS: disco kenyaitaliani kenyaproduzione kenyacanzoni kenya

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