Racconti

I RACCONTI DI CLAUDIA

Geppetto

LO SGUARDO IRONICO E GARBATO DI UNA DONNA CHE HA VISSUTO A MALINDI

05-08-2009 di Claudia Peli

Una mattina, nell’uscire di casa per andare a lavorare, ho notato che nella mia aiuola fuori dal cancello c’era un ragazzo che spazzava via le foglie secche e il takataka.
Mi è sembrato strano che un africano avesse tanta coscienza ecologica da pulire un’area privata. Probabilmente lo aveva assunto il vicino di casa per la giornata, per fare pulizia tra le nostre siepi.
La vera sorpresa l’ho avuta quando sono ritornata la sera: il ragazzo aveva allestito un chioschetto nella mia aiuola!
Si era creato un bello spazio in cui aveva costruito un banchetto di legno, uno sgabello e delle mensole.
E aveva già disposto con cura e ordine la sua mercanzia.
Jambo mama!” Mi saluta cordialmente.
Jambo kijana.” Gli rispondo un po’ seccata.
E poi gli chiedo cosa sta facendo.
“Fare solo piccolo business.” E mi sorride.
“Ma lo devi fare proprio dentro la mia aiuola il tuo business?”
Lui alza le spalle, si guarda intorno e mi dice che è un bel posto per aprire il suo negozio, perché c’è la grande ombra della palma che lo rinfresca e proprio lì di fronte c’è l’ingresso alla spiaggia pubblica dove passa tanta gente. Gli rispondo che capisco le sue ragioni, ma che sta occupando una proprietà privata.
“Sei un abusivo, mi capisci?”
“Abusiv…nini?” Mi chiede lui perplesso.
Ma perché dopo sette anni che vivo in Kenya tento ancora di spiegare un concetto tipicamente occidentale ad un giovane africano quasi analfabeta? Mi arrendo, tanto a pensarci bene non mi da alcun fastidio.
“Come ti chiami?” Addolcisco la mia voce.
“Io Geppetto falegname.”
E mi viene da ridere perché questi africani hanno davvero tanta fantasia: ho un rafiki che cambia i soldi in spiaggia ai turisti e si fa chiamare Bancomat, un altro che fa il sarto e  bazzica spesso di fronte agli alberghi si è scelto il soprannome Valentino.
“Vuoi comprare bello ippopotamo?” Mi mostra orgoglioso una statuetta di legno che ha appena finito di limare.
“Ebano vero, look.” Mi dice e gratta con l’unghia il legno scuro.
Come no, penso io, lucido da scarpa autentico: conosco il vecchio trucco.
“No, grazie Geppetto, l’ippopotamo ce l’ho già. Anche la giraffa e tutti gli altri animali della savana.”
Poi ammiro le belle sculture che ha disposto con cura sul banchetto e gli faccio i complimenti.
Lui mi guarda contento, poi tira fuori da un sacchetto di plastica un piccolo busto di Pokot a cui è legato un anello di ferro.
E’ un portachiavi.
“Regalo per te. Adesso noi amici.”
“Grazie! Ma che bello!” E per fargli vedere che lo apprezzo veramente ci infilo subito le mie chiavi di casa.
Ci salutiamo e gli auguro buona fortuna col suo piccolo business.
Qualche giorno dopo, durante una riunione di lavoro, la direttrice nota il mio nuovo portachiavi e mi dice che le piace: potrebbe essere una buona idea come regalo di Natale ai nostri ospiti.
Le racconto brevemente l’episodio di Geppetto.
“Arriva ogni mattina  presto con due grossi sacchi in spalla. Pulisce per bene la piazzuola, tira fuori tutte le sue statuine e poi accucciato sullo sgabello comincia a intagliarne di nuove. Ha molto talento, purtroppo in una settimana non ha ancora venduto niente: i turisti vanno nei soliti negozietti in città…poveraccio.”
“Ok, aiutiamolo noi. Ordinagli quattrocento portachiavi, devono essere pronti al massimo entro un mese.” Mi dice.
Questa iniziativa di solidarietà mi rende felice e sono certa che anche Geppetto sarà contento della novità.
La sera rivedo il giovane falegname che ripone le sue cose dentro il sacco. Nonostante gli affari non gli vadano bene lui è ancora di buon umore e fiducioso.
Jambo Geppetto, ho un lavoro per te. Mi servono altri portachiavi Pokot. Me ne servono tanti sai?”
Gli si illuminano gli occhi e mi invita a sedermi sullo sgabello, per fare meglio il business, e lui si accuccia per terra.
“Certo mama, quanti?” Mi chiede speranzoso.
“Quattrocento.” Gli scandisco bene il numero, e glielo ripeto in swahili.
Geppetto resta a bocca aperta e si gratta il mento, credo di averlo scioccato.
Poi deglutisce e mi dice che forse io intendevo dire quaranta.
“No rafiki, ho detto proprio quattrocento. Li puoi fare? Mi servono entro un mese. Ma devono essere tutti belli come il mio, ok?”
Geppetto è al settimo cielo. Salta in piedi come un grillo e mi ringrazia in diverse lingue. E  mi benedice pure, neanche fosse un prete.
Gli do un acconto per comprare il legno e ci salutiamo con un’energica stretta di mano.
La mattina dopo mi aspetto di vederlo già all’opera, e invece il chioschetto è deserto. Niente Geppetto nei dintorni…e anche le mattine successive non si fa vivo.
Comincio a pensare che mi ha tirato una gran fregatura: si è preso i soldi e probabilmente è andato ad aprire il suo nuovo business nell’aiuola di qualcun altro.
Che sciocca sono stata.
E invece, che bella sorpresa, dieci giorni dopo me lo vedo lì che mi aspetta sul cancello, con quattro borse di plastica gialle in mano.
Jambo mama!” Esulta felice di rivedermi.
“Geppetto! Allora non eri scappato col malloppo!”
Lui fa no con la testa e poi ridiamo insieme.
Mi racconta che è tornato al suo villaggio, dentro il bush al nord, e ha assunto tutta la tribù dei suoi fratelli e cugini e zii per fare i quattrocento portachiavi haraka sana.
“Ecco, look!” Apre le sue borse e mi mostra la merce soddisfatto.
“Bravo rafiki!” Gli batto una mano sulla spalla.
Geppetto col suo bel gruzzolo ha ingrandito il business e ha spostato il chiosco in una piazzuola più ampia dall’altra parte della strada. Si è pure messo in società con un pittore che si fa chiamare Picasso e tutte le mattine quando vado al lavoro li vedo all’opera.
Ultimamente sta intagliando piccole tartarughe, mi ha detto che gliene hanno ordinate oltre cinquecento pezzi.
“Bravo! E le fai tutte  da solo stavolta?”
“No mama, domani arrivare fratelli e cugini per dare piccolo aiuto.”
“Bene, avrai un po’ di compagnia, e quanti sono?”
“Trenta.”
Mi sa che ho capito male…trenta Geppetti che fanno tartarughe in un’aiuola? Mah, però a pensarci bene qui in Africa tutto è possibile.

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