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Kenya: la felicità è reale solo se condivisa

...e io posso continuare ad essere giovane

23-01-2013 di Hilary Mazzon

È solo quando si vedono i risultati che si ha la voglia di andare avanti e continuare a sognare.
Vengo da un paese, l’Italia, dove i giovani non hanno più spazio per pensare in grande, dove non possono essere giovani, con tutti gli attributi dell’esserlo: la follia, la fame di sapere, la voglia di fare, la voglia di cambiare il mondo e di sperare in un futuro migliore. 
Un paese statico, disilluso e rassegnato. 
Credo che le soddisfazioni e l’entusiasmo per la vita vengano proprio dal riuscire ad apportare un cambiamento all’ambiente circostante, nel vedere che la legge fisica più elementare, quella della causa-effetto, funziona. Una delle frasi che preferisco è tratta dal libro “La felicità domestica” (1859) di Lev Tolstoj: 
“Credo di aver trovato cosa occorra per essere felici: una vita tranquilla, appartata, in campagna. Con la possibilità di essere utile con le persone che si lasciano aiutare, e che non sono abituate a ricevere. E un lavoro che si spera possa essere di una qualche utilità; e poi riposo, natura, libri, musica, amore per il prossimo. Questa è la mia idea di felicità.[...]Cosa può desiderare di più il cuore di un uomo?”. 
Ho trovato un po’ di felicità in questa terra, la costa keniota, che sorride sempre, dove le persone non hanno tempo per essere tristi, dove alla domanda “Come stai?” non è ammessa né contemplata una risposta negativa. 
Questo fa capire tanto della gente di qui. 
Dalle parole si capisce sempre moltissimo: si capisce l’importanza delle cose. 
Ad esempio gli inuit hanno molti modi per dire la parola neve: una parola per la neve appena caduta, una per quella soffice, per quella dura, per quella farinosa, per quella trasportata dal vento etc... 
Questo fa capire quanto la neve sia fondamentale nella loro quotidianità. Allo stesso modo il fatto che non esista una risposta negativa al “come stai” fa capire altrettante cose. 
La vita va affrontata con il sorriso e io, come tanti mie coetanei, in Italia l’avevo perso. 
Ma vivere qui ti fa sorridere anche nei momenti più strani. Come quella volta che sono andata a Langobaya, per il monitoraggio dei progetti agricoli di Karibuni Onlus. 
Uno pensa.... Ma cosa ci vuole?!? vai alla “stazione” dei pullman, sali, e dopo 1 ora e mezza sei a Langobaya. 
Hai 4 ore per fare tutto quello che devi e torni a casa.
Bene. Ecco com’è andata.
Alle 11.30, tutto a posto, partiamo!
Bisogna pazientare, sempre! Questo è un mantra che questa terra t’insegna. 
Perché tanto anche se te la perdi e ti arrabbi, la situazione non cambia, quindi tanto vale aver pazienza ed aspettare. 
Tant’è che alle mie frequenti domande la risposta è stata: “Ora che mi hai detto che è tardi, cosa suggerisci di fare? Qual è il tuo piano?”
Al che mi sono sentita abbastanza stupida.
Arrivo a Langobaya all’1 e 30, dopo un viaggio nel fango, dove la volta prima ci eravamo impantanati e con il diluvio universale, dentro e fuori dal pullman. Perché giustamente in un posto dove fa caldo tutto l’anno, tanti finestrini non sono dotati del vetro (!!!).
È finita che in quelle ore di viaggio ho fatto amicizia con il “conductor”, una sorta di controllore; mi ha dato il suo numero così posso chiamarlo per chiedere l’ora in cui passerà per Langobaya per tornare a Malindi, così non aspetto troppo alla fermata e riesco a fare quello che devo.
Partenza prevista per le 9 am. 
Alle 9 e mezza ancora si è dentro il pullman ad aspettare e nessuno sembra nemmeno preoccuparsene né farci caso più di tanto.
Ecco che si parte (ore 9.50), ma dopo qualche decina di minuti, ci si ferma. 
Guasto! Ma come guasto?
No, ma non ti preoccupare, “Hakuna Shida!”, ora sistemiamo e partiamo. 
Dopo un’ora, la frase diventa: “un veicolo sostitutivo sta arrivando”. 
Alla fine il guasto e l’attesa mi sono servite per avere aiuto per i viaggi successivi e per avere in tempo reale la localizzazione dell’autobus per non perderlo (come mi era già successo). 
Quell’attesa mi ha fatto capire che è vero quando si dice che siano le relazioni umane a contare nella vita: il saper tessere e costruire rapporti con le altre persone.
Perché “la felicità è reale solo quando è condivisa”.
Qui si può essere felici e continuare a sognare che le cose possano cambiare, che il mondo possa essere un posto migliore e io... 
... io posso continuare ad essere giovane. 

TAGS: Hilary MazzonRacconti Kenya

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