Editoriali

EDITORIALE

L'agosto senza giovani della costa keniana

L'eccezione di eventi mirati e abitazioni private

16-08-2021 di Freddie del Curatolo

Un agosto strano sulla costa del Kenya, da Lamu a Diani.
E’ chiaro che la “grande madre” di tutti i cambiamenti, e quasi tutti in negativo, sia l’ormai sopravvalutatissimo ma ancora pericoloso virus.
Così a differenza dello scorso anno e delle ultime vacanze di Natale e Capodanno, le ferie estive hanno visto un fenomeno che sotto tanti aspetti mette un po’ di malinconia e sotto altri invita a riconsiderare il piacere della quiete e del relax.
Stiamo parlando della mancanza di giovani e di famiglie con bambini.
Nelle località turistiche costiere questa tendenza è più che visibile, lampante.
In primis è dovuta alla precoce riapertura delle scuole nel paese.
Solitamente il calendario scolastico prevede, dopo i primi due trimestri intervallati da 20 giorni circa di ferie e una settimana di “mid-term”, un mese se non 35 giorni di pausa proprio in corrispondenza del mese di agosto.
Questo il motivo per cui mezzo Kenya organizza le sue ferie in questo periodo.
Per i meno abbienti il periodo di stop delle scuole e di molte attività corrisponde con il ritorno al villaggio natio, nelle aree rurali. Per chi invece se lo può permettere, l’agosto negli ultimi anni ha preso le sembianze della vacanza in luoghi dove le temperature sono più miti che nella Rift Valley provata dall’inverno equatoriale (la cosiddetta “stagione umida”).
Le rive dell’Oceano Indiano costituiscono di certo l’attrazione principale. Con la crescita di una piccola e media borghesia a Nairobi e dintorni, negli ultimi dieci anni molte strutture alberghiere, specialmente a Mombasa e dintorni, si sono convertite alla ricezione di nuclei familiari e viaggiatori singoli “di casa”. E’ cambiata l’offerta di cibo e bevande, sono stati curati alcuni servizi mirati. Anni fa, quando la maggior parte dei turisti arrivavano da altri continenti, ad esempio la televisione era un mero optional. A chi interessava, in vacanza nella Natura dell’Africa, passare il proprio tempo incollati davanti ad un video o seguire un film invece di perdersi nella realtà di un altro mondo da scoprire?
L’anno scorso, ad agosto, si è vista la consacrazione di un tipo di turismo in ascesa che dalla pandemia in poi per chi lavora nel settore dell’hospitality sulla costa sarà fondamentale coltivare per restare in piedi. Ma già quest’anno è cambiato tutto.
Come accennavamo, le scuole sono ripartite dopo una sola settimana di stop e di conseguenza le famiglie con bambini o ragazzi che frequentano le scuole superiori, hanno dovuto rimandare i loro programmi di svago e tempo libero, già provati in parte dalla crisi economica.
Dall’altra parte, altri giovani (le università invece sono chiuse) anche lavoratori o rampolli di buone famiglie, non sono stati attratti dalle destinazioni turistiche che solitamente promettono divertimento a tutto spiano, come Watamu e Diani, per via del coprifuoco.
Niente discoteche fino all’alba, niente rave parties o festival che sono stati totalmente o parzialmente cancellati (anche se trasformati magari in maniera intelligente in “boutique events” come nel caso del 7 Islands, dove una bella gioventù internazionale si è fatta vedere, ma non è bastato ad evitare problemi) e poca possibilità di tirare tardi nelle ore in cui si fa largo il piacere di incontrarsi, nascono le love story eccetera. Per molti giovani quest’anno il divertimento è diventato un fatto privato, con festini a numero limitato nelle abitazioni cittadine, ingresso poco prima delle 10 ed uscita poco dopo le 4 del mattino. Materassi ovunque e tutto quel che si può immaginare di conseguenza. I bimbi e le loro mamme invece hanno lasciato intatte le vaschette di gelato nei bar e dolciumi vari, con tanti hotel che dopo le richieste della scorsa stagione hanno predisposto scivoli e altalene, che verranno buone a Natale o nei prossimi weekend.
Chi rimane a frequentare le spiagge dell’Est Africa? Al popolo di residenti stranieri, spesso un po’ avanti con l’età, si sono unite coppie mature nazionali o amici e amiche di mezza età stressati dal lavoro nella capitale, che hanno scelto il relax. Il business delle case private in affitto ha avuto in questo senso la meglio sugli hotel, gruppi di amici e fiumi di alcool a seguito (altra grande passione della middle-up class keniana), o anche simposi di yoga e altre pratiche adottate negli ultimi anni.
Per quanto concerne gli ospiti stranieri, accade più o meno la stessa cosa: al netto della mancanza di italiani per le ormai note limitazioni del Governo di Roma e per lo spauracchio della quarantena al ritorno, in generale i giovani di Paesi che non vietano il Kenya, hanno preferito restare in Europa dove non c'è coprifuoco (sostituito dal Green Pass) e dove oltretutto fa caldo (ma un caldo infernale, con tanto di fuoco) e gli eventi si susseguono religiosamente come un Salmo. Anche qui, i turisti che arrivano, siano essi russi come quelli che popolano Mombasa e costa sud o nordici, hanno l'età di Caterina Caselli oggi e non quando cantava la famosa canzoncina.
Questo è oggi lo scenario da cui, come sempre più precari ma abili equilibristi, i proprietari e gestori di aziende legate al turismo devono dipendere e da cui sono costretti a trarre il massimo.
In attesa dei famigerati tempi migliori, che ormai invochiamo con le stesse pupille all’insù e i sospiri profondi di quando in Italia si stendevano le lenzuola con la scritta “Andrà tutto bene”.

TAGS: turismo kenyaagosto kenyagiovani kenya

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