MUSICISTI
24-04-2024 di Freddie del Curatolo
Il legame tra l’Italia e il Kenya, da qualche anno, parla sempre più il linguaggio comune del jazz.
E’ stato il trombettista Paolo Fresu, all’inizio del millennio, ad innamorarsi del substrato urbano della capitale Nairobi, ricco di commistioni, incontri e suggestioni.
Da lì si sono succeduti progetti, collaborazioni, jam session, grazie anche alle “residenze artistiche” offerte da Roma a giovani e intraprendenti musicisti italiani in trasferta, per scambiare esperienze ed offrire il loro contributo a jazzisti locali e studenti.
Gianfranco Menzella, l’ultimo artista ad essere passato da Nairobi, non è più giovanissimo e soprattutto ha alle spalle una carriera da sassofonista fitta di grandi collaborazioni, di album interessantissimi (uno su tutti, “Nothing by chance” in duetto con il grande sax Eric Marienthal) e di esplorazioni che vanno dalle Big Band a sonorità e composizioni proprie più moderne e complesse.
Abbiamo incontrato il musicista originario di Matera, in occasione della partecipazione al festival “Afrolect”, organizzato dal trombettista e grande aggregatore del jazz keniano, Mackinlay Mutsembi, e ci ha raccontato questa bella esperienza “diretta” con il Kenya, di vita prima ancora che musicale.
“Il Kenya per me è stata una bellissima scoperta – ammette Menzella - sono stato contattato da Mackinlay, tramite l’Istituto Italiano di Cultura di Nairobi, come artista italiano scelto per partecipare al festival “Afrolect” e ne sono rimasto da subito entusiasta. L’idea di interagire attraverso la musica con persone così lontane mi ha fatto sentire cittadino del mondo. Ho avvertito da subito un legame fisico con la terra e con i luoghi sin dal mio arrivo a Nairobi di notte, un luogo surreale popolato da sagome vaganti ai bordi delle strade scarsamente illuminate e dall’architettura che mi riportava in un tempo lontano. Nei giorni successivi ho apprezzato lo stile di vita della metropoli, i suoi colori e i suoi sapori, la gentilezza, la pazienza e l’allegria della gente africana e ho capito quanto lontani sono gli stereotipi occidentali sull’Africa”.
Nel corso della sua attività jazzistica, Gianfranco Menzella ha collaborato con nomi altisonanti del panorama italiano ed internazionale, come il già citato Eric Marienthal, Danilo Rea, Fabrizio Bosso e molti altri. Eppure senza il minimo snobismo, il sassofonista lucano non solo si è integrato splendidamente nel territorio keniano delle “note blu”, per certi versi ancora inesplorato e immaturo, ma ne è uscito arricchito, come lui stesso conferma.
“E’ vero, ho avuto la fortuna di collaborare con tanti artisti fortissimi, porto nel cuore la mia esperienza con Jerry Bergonzi, secondo me uno dei sassofonisti più forti al mondo e poi a New York con Dave Wong, Aaron Kimmel, Joe Magnarelli, Tom Kennedy e appunto Marienthal, tutti artisti con un’anima grande prima ancora che musicisti fortissimi – spiega Gianfranco -, L’anima che ho ritrovato anche in Kenya: la collaborazione con Mackinlay intanto mi ha dato conferma che il jazz è un linguaggio universale che si presta a mille contaminazioni, a Nairobi è una commistione di musica etnica, smooth jazz e soul. Lui è un formidabile trombettista e un organizzatore eccellente. La sua conoscenza del linguaggio jazz, la capacità di mettere insieme persone e la sua visione di come un evento va organizzato curando i più piccoli particolari, mi hanno sorpreso ed arricchito. Il panorama musicale di Nairobi a mio avviso è un terreno molto fertile perché popolato da molti ragazzi talentuosi e da un pubblico che segue il jazz e ha sete di bellezza, sicuramente persone come Mackinlay sapranno portare molti frutti da una realtà del genere”.
Dalle parole del jazzista italiano, che dopo l’incontro con noi al Live Club “Gecko Tribe” di Nairobi, abbiamo risentito al rientro in patria, affiora un po’ di cosiddetto “mal d’Africa”, e lui stesso confessa di sperare in un ritorno in Kenya appena possibile.
“Sicuramente ho sperimentato quello che chiamano mal d’Africa: dopo qualche giorno di permanenza a Nairobi pian piano il mood africano ti entra nel sangue, è come una brezza leggera da cui non vuoi più staccarti, la gentilezza e l’allegria delle persone, un’idea più dilatata del tempo slegato dall’ansia, il silenzio e la pace della savana, tutto questo per me è mal d’Africa. Compreso ripensarci da qui e covare la speranza di tornare a respirare nuovamente quelle atmosfere uniche”.
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