REPORTAGE
17-04-2022 di Freddie del Curatolo
Ti chiedono sapone e sigarette, come nei film.
Chi conosce le carceri di Mtangani, sa bene che non c’è lungometraggio che possa raccontarle, senza lasciarti un senso di spaesamento e nausea.
Senza rabbia, senza indignazione.
Impotente schifo e basta.
Perfino le prigioni turche di “Fuga di mezzanotte” erano più poetiche.
Ti immagini almeno che le dita callose e irregolari possano appoggiarsi alle sbarre di ferro, che tra la cella e il corridoio passi un po’ d’aria, insieme al secondino che batte sui lucchetti con la spranga.
Aria pesante che si sposta, come negli scompartimenti di un treno del meridione quando lasci aperta la porta scorrevole.
Uno straccio di branda o due letti a castello, una seggiola cigolante, un micro tavolo o una mensola per gli effetti personali.
A Mtangani, il carcere di Malindi, non c’è niente di tutto questo.
I detenuti passano le loro interminabili ore in monoblocchi in muratura, con strettissime feritoie da cui la luce entra a coltellate e tetti di lamiera che cuociono i pensieri.
In estate la temperatura raggiunge i cinquanta gradi, quando piove l’acqua invade il pavimento, che è anche il letto. In un angolo, la toilette.
Dieci metri quadrati di stanzone, dieci ex uomini dentro.
Logico sorprenderli a ridere, nella pausa dei lavori forzati ma tranquilli allo stadio Alaskan.
Le sigarette, rooster senza filtro, sono state sequestrate dalle guardie.
Dice che devono controllarle.
“Le ha comperate un bianco - proviamo a dirgli – non c’è il filtro”
Con la lana di vetro pestata potrebbero fabbricarsi una lametta.
Anche se qui non usa tagliarsi le vene.
Niente da fare.
Rooster sequestrate.
“Ecco, se ne terranno almeno la metà”, dice Karisa, che parla bene l’italiano e mi conosce.
“Tu avevi un ristorante, ero anche venuto a chiederti lavoro”
“Già…ma io non posso assumere tutti”
“E io dopo ho fatto degli sbagli”
Le guardie lo riprendono.
Zitto e lavora.
Abbiamo voluto noi i carcerati per risistemare il campo di gioco alla fine della stagione.
Mansioni che qualsiasi manovale non specializzato avrebbe potuto svolgere, ma la possibilità di far respirare un po’ di cielo, sprazzi di comunicazione normale e storie del mondo fuori dal monoblocco, era troppo allettante.
Grazie alla Karibuni Onlus, che da sempre ci sostiene nei nostri progetti sociali a sfondo sportivo (o viceversa), per qualche giorno Karisa e altri otto prigionieri avranno un pranzo decente e un po’ di latte fresco da bere.
“Tra sei mesi sono fuori” dice in italiano. Vendeva qualcosa di illegale ai turisti in spiaggia.
“Quando esco mi faccio la licenza…”
C’è anche chi non uscirà tanto presto.
Gli sguardi sembrano tassametri, ti scavano addosso e vorrebbero commettere l’ultima rapina, scippare la tua libertà e andarsela a godere di nascosto da qualche parte. Giocarsela a donne e birra, comprarci qualche chilo di riso e fagioli per far vivere una settimana speciale a una moglie che aspetta e a figli mai visti crescere.
Avvolgono il filo spinato, la rete che delimitava il campo. Juma ha lo sguardo altrove e la kofia islamica in testa. Afferra un bastone di ferro per sradicare la rete dai pali.
La guardia imbraccia il fucile.
Lui si guarda intorno.
Sa bene che c’è solo una via d’uscita, e non contempla il continuare a vivere.
Abbassa lo sguardo e si rimette a lavorare.
Riccardo ha portato per loro antibiotici e unguenti per le piaghe.
John Ochieng alza i pantaloni a righe fino al ginocchio e scopre la tibia martoriata.
Cicatrici, insetti, rimasugli di scabbia.
Le amicizie pericolose di Mtangani.
Consegniamo le confezioni al medico del carcere.
“Per i detenuti, per favore…”
Domani torneranno, ma non è dato sapere se saranno gli stessi.
Poi c’è il rischio che ci prendano gusto.
Come con il sapone, come con le sigarette.
Guarda come ridono.
Magari poi finisce che riprendono ad amare la vita…
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