Reportage

REPORTAGE

Mombasa, Kenya. O guerra e pace

Guida di viaggio e di prospettiva sulla città costiera

13-11-2024 di Michele Senici

Talvolta sento la necessità viva e ardente di passare la giornata a Mombasa.
Quando lo racconto alcuni mi chiedono se vada tutto bene, se lo stress non mi abbia fatto perdere l’equilibrio. Mombasa è caldissima, è sporchissima, è affollatissima, è rumorosissima.
Mombasa è Mombasissima per molti e senza dubbio anche per me.
Nonostante il bisogno di andarci mi ritrovo spesso steso a letto combattuto tra la spinta di correrci incontro e la sensatezza di restare steso sotto al ventilatore o le palme fino a sera.
Mombasa inizia senza dubbio con la guerra ed è essa stessa guerra: la sua parte più antica si chiama Mvita – che in Kiswahili significa proprio “guerra”. Ma anche le battaglie più feroci per esistere hanno bisogno delle tregue e dunque Mombasissima è fatica, è guerra ed è anche pace.
L’ostacolo più alto è arrivarci senza un’automobile o un taxi ma vinta la repulsione per il viaggio e con i piedi poggiati sulla terra dell’Isola tutta l’angoscia si dissipa e il mio stomaco si apre desideroso di mangiarmi tutta quella vita frenetica scandita da passi lentissimi e trascinati stirando i kikoy che coprono le gambe degli uomini e i dhera che avvolgono quelle delle donne.
La città per me è sinonimo di camminare con andature diverse in ogni quartiere.
Nella Old Town, la città vecchia, la camminata è lenta e disincantata, adatta a lasciarsi trasportare in direzioni non programmate. Lenta abbastanza per lasciare lavorare il navigatore del cervello e aiutarmi a ritrovare la strada di casa a fine giornata. Andateci con qualcuno che la conosce, una presenza discreta ma che sa come muoversi e all’occorrenza proteggervi.
La Old Town è un’esplosione di civiltà e non poche volte mi capita di alzare lo sguardo verso il secondo o il terzo piano di quegli edifici imponenti e trasandati e immaginare come sarebbe vivere lì, aprendo la finestra all’alba che rumori sentirei? Adoro quando la mia camminata è interrotta dai canti dei Muezzin che invitano alla preghiera dagli altoparlanti delle Moschee.
Hayya ‘alas-Salah - venite alla preghiera canta due volte il Muezzin. Alla preghiera non andrò ma in quel momento, quel suono che riempie le strade dà senso alle pareti giallo sporco, alle porte intarsiate, ai gatti che dormono con un occhio aperto, alle baraza ai piedi delle case e ai terrazzi di legno scricchiolante.
La città vecchia è negozi di antichità e lampade in ottone che chiudono ad ogni preghiera, riso biryani, carne di montone e cammello, telai per tappeti, il negozio farmacia-erboristeria-testi sacri di Bwana Omari, il succo al tamarindo, il caffè swahili e i kaimathi.
Ed è halwa, quella morbida e inafferrabile dolcezza che è l’halwa.
Fuori dalla città vecchia, la camminata in Biashara Street è costretta a cambiare ritmo. I passi sono serrati e veloci, gli sguardi sono fugaci e si posano rapaci su ogni porta per evitare sguardi troppo lunghi che corrisponderebbero a insistenti inviti a entrare, nonostante oggi non ci sia necessità di comprare lucchetti o abiti da donna dallo stile fin troppo sfarzoso per essere chiamati kitsch. Questa strada è una passerella di tutti i profumi della città: le mille acque di colonia che tanto amano le donne e gli uomini si mescolano in un aroma pulsante con la melma degli oli di frittura, il diesel bruciato dai tuk-tuk, qualche pesce caduto a terra da un carretto e marcito, gli ananas troppo maturi che fermentando stanno per esplodere. In Biashara Street ognuno ha il suo negozio di fiducia che sia per i kanga, per i kitenge o per le lampadine e per chiunque tutti gli altri negozi all’infuori dei propri di fiducia sono luoghi loschi dove operano truffatori da 50 scellini al metro o al pezzo.

E infine, almeno per lo spazio di questo articolo, l’andatura cambia ancora quando passeggia sul lungomare di Mama Ngina. Qui tutto si rilassa, i passi diventano lunghi e il corpo accetta di buon grado di essere avvolto da quella brezza di mare che porta refrigerio sulla pelle, insieme a un po’ di sale che si mescola al sudore e alla polvere che si sono già attaccate al collo, alla fronte e ai dorsi delle mani. I carretti del gelato offrono cento gusti senza rivelare che tutti sono al “99% zucchero” e che dunque la sete diventerà feroce.
I veditori di cocchi te li propongono nascondendo che sono stati al sole fin dalle prime luci dal mattino e che dopo aver sorseggiato quel liquido dolciastro ti sentirai con la lingua appiccicosa, pregando per una bottiglia di acqua ghiacciata. Meglio concedersi la brezza e basta.
La brezza che porta vento di pace ai margini di una città che è così tanto intensa da farti desiderare il mare e così tanto lenta da farti sognare di guidare un bulldozer per buttare giù tutto e smarcarti da quel ritmo inarrestabile e lento.
Andate a Mombasa se potere, senza aspettarvi altro che il godimento di ogni accadimento. Senza desiderare altro che il camminare lento o veloce ma incessante che vi consegnerà alla notte esausti e con gli occhi pieni di così tanta vita, stavolta senza M. In quel momento solo pace e niente guerra.

Michele Senici, 1993. Educatore, insegnante, coordinatore di progetto. Ho aperto Casa Hera a Diani perché non sapevo dove continuare la mia vita. L’ho capito ora? Certamente no, ma va bene così, almeno osservo, penso, scrivo.

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