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QUESTO E' KENYA

Mathare, dove il niente che perdi è tutto quel che avevi

Se anche le inondazioni in Kenya non sono il male peggiore

09-05-2024 di Freddie del Curatolo

Sono madri con in braccio fagotti di cui non sanno chi è il padre, uomini che si sudano il pane facendo ogni giorno un lavoro diverso, ragazzi che attendono da un mese di tornare nella loro catapecchia di scuola, ragazze per cui gli abusi subiti ormai sembrano il male minore.
Sono figli, fratelli e compagni di sventure e marachelle, nemici che si sgozzano per un piatto di polenta, un favore non reso, un centimetro di spazio. Sono madri di figlie ingenue, sottomesse, senza scampo, in fuga che accudiscono i loro frutti del peccato, mariti ubriachi che nel buio della sera picchiano chiunque ritengano famiglia.
Su quel ponte dello slum di Mathare ci sono tutti i personaggi di una serie reale che non approderà mai su Netflix, ma che è più vera della realtà. Ci sono i ladri, le venditrici ambulanti, i contrabbandieri di alcolici artigianali, le volontarie di associazioni locali, gli spacciatori, i lattonieri e i muratori.
C’è chi raccoglie e ricicla la spazzatura, chi rovista solo per trovarvi qualcosa da mangiare, ci sono le prostitute, gli assassini, gli artisti di strada, i rapper. E migliaia di bambini e bambine.


Sono vivi, per voglia, per rabbia o più probabilmente per uno scherzo del destino.
Sono lì, a guardare il poco o nulla che hanno perso e che potrebbe non riapparire più.
Il fiume di Mathare è esondato qualche giorno fa e ha investito baracche, chioschi ed ogni casupola di incerta muratura e lamiera arrugginita che si trovasse nelle vicinanze. In tanti non sono riusciti a salvarsi.
I vecchi, i bambini, le donne in cinta, i disabili, non ce l'hanno fatta a salire sui tetti, per sottrarsi all’ondata di acqua e fango che ha sommerso buona parte di una delle baraccopoli più grandi d’Africa.
Ora, dopo la tragedia dell’inondazione, se ne avvicina una più immane, per questo popolo che fa comodo chiamare “ultimi”: il governo ha deciso, dice “per la loro salvaguardia futura”, di sgombrare e demolire quel che è rimasto delle loro catapecchie, fino a 30 metri di distanza dal fiume.
Sono migliaia e sorgono su terreni ereditati oralmente, contrattati con la mafia locale, conquistati con ogni sotterfugio e mai potuti registrare, anche dalla gente onesta che avrebbe voluto farlo, perché lo slum non si lascia se è l’unico presente possibile.
Stanno guardando le ruspe, i camion. L’esercito ha formato un cordone, alcuni ragazzi esagitati hanno scagliato pietre, si sono opposti alle demolizioni. Tre sono morti, colpiti involontariamente dalla gru.


Così non resta che fare la guardia al niente.
Quel niente che ha sempre voluto dire casa e che ora potrebbe costringerli ad andare altrove.
“Meglio morire che andare via da Mathare”, grida un uomo sulla quarantina.C’è chi pensa che potrebbe essere accontentato dal colera e dalla malaria, perché spesso una catastrofe naturale in Africa non è la peggiore delle ipotesi.
Il presidente Ruto è venuto in perlustrazione, ha assicurato gli sfollati che verranno dati loro nuovi terreni dove poter ricominciare ed ha promesso 10 mila scellini per ogni famiglia. Sono circa 75 dollari. Qui la gente vive sotto la soglia di sopravvivenza delle statistiche mondiali, ovvero 1 dollaro al giorno. Cosa potranno fare con 75 dollari? Soprattutto, dopo essere nati e cresciuti nell’anarchia di Mathare, nell’autogoverno di un girone dantesco dove l’unica consolazione è non essere soli, dove potrebbero andare? Il futuro non è scritto, cantava anni fa uno strimpellatore, a Mathare non si riesce a leggere nemmeno il presente, soffocato come un grido di libertà in gola: la libertà di non avere niente, che ora potrebbe essergli negata.

(Foto: Associated Press)

TAGS: mathareinondazioniultimipoveristorie

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