L'ANGOLO DI FREDDIE
19-03-2024 di Freddie del Curatolo
Da ragazzo me ne andavo alla foce del fiume.
Mi ero costruito una baracca di rami secchi, foglie di palma e sacchi di juta per fuggire dalla realtà.
Rasserenavo lo sguardo invidiando i fenicotteri rosa che danzavano tra le blande certezze dell'acqua dolce e le ghiotte incognite della salsedine, gli ingrugniti ippopotami che per paura di tutto non si sarebbero mai inoltrati ed attaccavano chiunque invadesse il loro presunto territorio, adeguandosi ad una vita melmosa e senza futuro.
Mi perdevo nell’orizzonte lontano dell’oceano e pensavo che oltre quella linea esistesse un luogo fantastico, che doveva essere per forza l’opposto del nostro.
Un posto dove avevano aggiustato le cose, dove la povertà non esisteva, dove tuo padre o tuo fratello maggiore ti picchiavano solo per una buonissima ragione, dove se non trovavi lavoro e te lo meritavi, qualcuno ti aiutava a cercarlo.
Un posto che, per scovarlo, devi avere coraggio, non basta arrivare alla foce del fiume come un pesce morto, navigando con la corrente.
Così presi il mare, senza sapere che sarebbe stato lui a prendere me.
Lo presi come una fede, una speranza, un treno.
Ma l’oceano non vuole essere un sogno, un ideale.
Vuole essere la mente più grande che tu abbia mai conosciuto, la divinità più generosa ma anche quella più potente, che sa essere maligna e ingiusta.
Vuole essere come la vita.
Così per trent’anni lasciai un padre e ne trovai un altro, che almeno mi dava da mangiare tutti i giorni e con cui potevo parlare la sera.
Senza una famiglia, che non fosse quella di pesci muti, con donne passeggere nei pochi porti isolani e due figlie da non crescere e che sapevano così poco del padre da vergognarsene.
Bevvi litri di acqua e sale, rischiai più volte di farmi inghiottire dalle onde, regalai lembi di pelle a pesci voraci. Ma non trovai quel luogo giusto dietro l’orizzonte.
Così sono tornato a casa.
Mi sono ritrovato vecchio in un mondo diverso e veloce, troppo veloce per i miei occhi e la mia mente.
Chissà, forse anche per la grande mente del mare.
Il fiume era pieno di quei pesci morti che corrono verso il niente, perché sanno già che oltre l’orizzonte non c’è niente di speciale. Niente di più interessante di quel che possono vedere da quei loro piccoli aggeggi che tengono in mano.
“Sono vecchio, ma non sono un pesce morto” pensavo.
Così sono ripartito, seguendo il fiume controcorrente, come un pesce che ha ancora voglia di guizzare, di conoscere, di sorprendersi.
Arriverò in terre conosciute, forse anche più contaminate di queste e senza l’amico oceano.
Ma ormai ho capito che la vita sta nel viaggio, non nella destinazione.
Ho capito che il mondo giusto oltre l’orizzonte è dentro di te.
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