TESTIMONIANZE
12-02-2012 di Freddie del Curatolo
Le nuvole vanno e vengono, come le emozioni. All’equatore sono così basse, così vicine che ti sembra facciano parte dell’arredamento che la natura ha deciso di piazzarti in veranda.
Questa sera hanno deciso di danzare avanti al cielo e scoprirne a tratti l’immensa volta stellata. Prima, però, c’era l’Africa al tramonto.
Quel momento sempre troppo breve, come sono gli attimi di vera felicità.
La scenografia terrena racconta di un villaggio mijikenda alle porte di Malindi, dove vive una delle comunità tribali più fedeli alle tradizioni dei secoli passati. Quando le capanne erano trulli di legno e palme secche, senza nemmeno il conforto del fango compattato a mo’ di cemento. Una per le donne, con le pentole sul fuoco, gli stracci ammassati e culle di foglie di banano per gli infanti.
L’altra è per gli uomini, con le stuoie da sonno, il vino di palma e odore di tabacco per rudimentali pipe. La terza è per gli antenati, i feticci intagliati a mano e colorati con sangue animale ed erbe macerate. Padri e padri dei padri da invocare affinché garantiscano saggezza e protezione al villaggio.
Sono tornato in Kenya, dove ho passato la giovinezza, sette anni fa e da allora mi considero africano a tutti gli effetti. La comunità Mijikenda, una delle più antiche e misteriose etnie dell’Africa Equatoriale, mi ha accolto e mi tratta come uno di loro. Sono stato ribattezzato con il nome di Mbogo (Bufalo) Kimera. Forse sì, è una chimera che io possa diventare uno di loro a tutti gli effetti. Non potrò mai credere alle loro superstizioni, agli idoli e al culto dei morti. Però partecipo e vivo con loro queste suggestioni.
Uno degli appuntamenti più importanti è l’iniziazione di un “mganga”, lo stregone buono che all’interno della comunità tribale viene considerato allo stesso tempo un guaritore, uno psicologo e una delle massime autorità religiose, perché in grado di interpretare il volere degli antenati. Sono gli “elders”, gli anziani del villaggio, riuniti in preghiera nella capanna dei feticci, ad iniziare il mganga.
Il rito dura una settimana. L’aspirante stregone dovrà mostrare di avere imparato a riconoscere ed utilizzare le erbe medicinali, assumere anche quelle allucinogene (nell’entroterra di Malindi si trova lo stramonio, ma anche la potentissima salvia divino rum) e scartare quelle velenose. Un giorno intero viene speso per vagare per chilometri sotto il sole cocente d’Africa e cercare le piante di cui avrà bisogno del corso del tempo. Con un amico video produttore riprendiamo tutte le giornate.
La cerimonia prosegue anche la notte, con danze tribali e preghiere. Sciamani bardati con parei colorati e pelli di facocero, con copricapi di piume d’uccello, pentoloni fumanti di farina di mais ed erbe di campo, visitatori e parenti dai villaggi vicini che portano offerte e doni: patate dolci con lime e peperoncino, fagioli al cocco, frittelle di tapioca e ananas, strani tuberi fritti nell’olio di palma.
C’è sempre qualcuno sveglio che fa qualcosa. L’indomani altre prove attendono l’aspirante stregone: si taglierà il palmo della mano con un coltello affilato senza provare dolore, parlerà lingue che non gli appartengono, capirà la malattia di giovani donne e infine affronterà il mare di notte, dopo aver camminato per trenta chilometri per raggiungerlo, e parlerà con gli spiriti. Un tempo i mijikenda erano convinti che nel mare si nascondessero mostri e presenze maligne. Il mganga è in grado di scendere a patti con i “mapepo”, gli spiriti cattivi mussulmani che da centinaia d’anni hanno conquistato le rive dell’Oceano e per primi spinsero il loro popolo a prendere la popolazione indigena in schiavitù.
Oggi i cattivi e i miscredenti sono in maggioranza, gli anziani dei villaggi lo sanno e festeggiano l’iniziazione di un nuovo mganga come un avvenimento fondamentale per non perdere la loro cultura. Le giovani gang, che temono i mganga perché lanciano loro anatemi contro la disonestà, l’adorazione di falsi idoli, l’abuso di droghe e alcol, spesso si lanciano in spedizioni punitive per picchiare (e in alcuni casi uccidere) gli stregoni buoni.
Le forze dell’ordine, nell’entroterra, si fanno vedere poco. Gli stregoni di una certa età si tingono i capelli.
Chi ha i capelli bianchi è a rischio.
Le danze proseguono, l’ultimo giorno tutto il villaggio è in festa.
I bambini corrono e respirano miseria e libertà, le donne faticano e si augurano che tutto rimanga come sempre, gli anziani pregano e vanno incontro serenamente al loro destino. Sono contento di far parte, anche solo marginalmente, di questa società che difende la propria cultura e i propri valori, per quanto distanti anni luce da quelli della mia stanca civiltà.
Il resto è qualcosa che viene solo da vivere.
E credetemi, più si riesce a vivere, meno viene da scriverne.
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