L'angolo di Freddie

SATIRA

Tutti i pericoli del Kenya: i batteri demodé

Viaggio tra le insidie di Malindi e dintorni: quarta puntata

19-11-2017 di Freddie del Curatolo

Malaria e virus importanti, a livello di malattie da prendere in Africa, hanno sicuramente la prima pagina, si fanno cliccare e danno visibilità. 
Tornare dal Kenya con l’ebola può essere un motivo d’orgoglio, quello che ti fa raccontare agli amici: “sono un vero viaggiatore io, mica uno che fa la vacanzetta del menga. Io i luoghi me li vivo nel sangue!”. Ultimamente c’è la caccia dei nostri connazionali a diventare il primo paziente con il virus di Marburg, il cui focolaio è tra i gorilla dell’Uganda. Sono aumentate in maniera considerevole le prenotazioni di safari a Ngorongoro, tanto che qualcuno sta pensando di importarlo a Nakuru. 
A Malindi, cittadina che ha una storia, una cultura e un passato incredibilmente più antico della maggior parte dei residenti italiani, resistono invece batteri vintage e ormai innocui.
Ad esempio la salmonellosi, virus che nel mondo occidentale è relegato ai ricordi degli asili anni Settanta, alla vista di un polpettone andato a male o di uova infingarde.
In Italia ormai forme virali come queste fanno ridere, lo “Zica” tira più del pilates.
Eppure quel briciolo di incoscienza data dal vivere alla giornata, unito agli effetti del sole perpendicolare dell’Equatore, fanno sì che qualcuno riscopra antichi piaceri: come quello di mangiare pesce crudo sulla spiaggia di Watamu, consigliato da un beach-boy che è lì fermo ad aspettare il turista, con una borsa in cui casualmente si trovano cernie, gamberetti e aragoste.
Le aragoste, ovviamente, sono state surgelate e scongelate almeno tre volte, la cernia è stata pescata invece il giorno prima e si è fatto sei ore sotto il sole che nemmeno la moglie del ragioniere vicino di cottage nel resort, nonostante abbiano lo stesso sguardo intelligente.
I gamberetti vengono da Mambrui e dall’aspetto si direbbe che siano arrivati a piedi, per conto loro.
In questo caso la salmonella è quasi un premio.
La morte per avvelenamento dopo spasmi inenarrabili, lo scioglimento istantaneo in soluzione fecale o l’annegamento volontario oltre la sesta barriera corallina, sarebbero stati un epilogo più consono all’esperienza fatta.
E il soprannome “Sal” (o “Monella” nel caso di una signorina) è l’appellativo minimo che ci si possa aspettare dagli amici in questi casi.
Se non vi piace il pesce, nelle town della costa o alle fermate dei matatu nei villaggi rurali, si trovano ancora i venditori di ghiaccioli in bustine di plastica.
Ghiaccio ricavato da acqua piovana e coloranti arabi creano un cocktail di batteri che l’epatite stessa ha paura a farsi vedere da quelle parti. 
Così la salmonella ha campo libero per fare il bis. 
Anche una cena in uno dei ristorantini tra il roundabout e l’aeroporto, può essere indicativa.
Dall’acqua di rubinetto bevuta a garganella ancora oggi si possono collezionare tifo, ameba, difterite e giardia, il pezzo più pregiato.
Ultimamente però questi virus stanno segnando il passo, mentre si fa strada l’efficace e veloce African Elicobapter, batterio un po’ astronauta e un po’ gastronzo, che plana come un Hercules C130 dritto nello stomaco del mzungu e lo riduce come la strada per lo Tsavo durante la stagione delle piogge.
La sensazione è più o meno quella che provoca la vista di un’ottantenne tedesca in bikini a braccetto con un aitante maasai: nausea, vertigine e in alcuni casi vomito.
Fastidioso è anche il Matatubapter, virus che si prende dalle ascelle stipate in pochi metri quadri ed è in grado di trasformare in mezz’ora il proprio alito nel gas di scarico di un bajaj, il sudore in avocado marcio e la colorazione della pelle simile agli edifici arabi dietro al vecchio mercato di Malindi.
Tornare dal Kenya senza nemmeno un batterio vuol dire non aver vissuto pienamente l’equatore.
Perché il vero mal d’Africa, in fondo, è un gran bel mal di pancia.


 

TAGS: satira malindipericoli kenyakenya batterikenya malattiekenya racconti

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