Opinioni

OPINIONI

La carità, un dono impalpabile

"... i regali speciali e la beneficienza sono immateriali. Sono impalpabili e invisibili."

01-09-2015 di Hilary Mazzon

Personalmente non credo nella carità.
Ho pensato tanto a quello che vorrei lasciare alle persone che mi circondano qui, ci ho ragionato davvero per molto tempo.
I regali più belli, quelli sentiti e pensati a fondo, quelli che fanno battere il cuore a chi li fa e a chi li riceve, quelli pieni di significati e di amore, richiedono tempo.
Tempo per cercare la cosa giusta e tempo per scovare quella perfetta.
Come il regalo perfetto non è l’oggetto di per sè, ma il tempo e la determinazione che sono state dedicate nel farlo; così la beneficienza non è carità, ma la profonda comprensione di cosa faccia davvero del bene.
In questo modo i regali speciali e la beneficienza sono immateriali.
Sono impalpabili e invisibili.
Tanti fanno della carità senza nemmeno accorgersene e lo fanno con il migliore degli intenti e probabilmente lo faccio anche io involontariamente.
Si cerca sempre di alleviare la sofferenza degli altri e di se stessi, in un modo o nell’altro tutti vogliamo lasciare un segno ed essere ricordati da qualcuno.
In realtà diventa quasi una droga: il bisogno di vedere l’altro star bene crea dipendenza.
Non si può smettere, altrimenti ci si sente inutili.
Un po’ come quando finiscono quelle storie d’amore profonde e tormentate, quando la persona a cui dedicavi ogni minuto e tutte le attenzioni se ne va, ci si ritrova soli con troppo tempo e troppa energia inutilizzata.
Allo stesso modo c’è la dipendenza da sorrisi e capisco quelli che quando vengono qui e donando qualcosa, una caramella, una penna, dei vestiti, si inebriano degli occhioni felici, degli abbracci e della gratitudine della gente.
Quello che spesso però si dimentica è che un sorriso non è per forza sinonimo di felicità.
Tutti i giorni mi guardo intorno e trovo spesso la conferma di come questo tipo di carità veloce e immediata possa alleviare la sofferenza e rallentare il dolore, senza annientarli.
E’ il nostro innato sentimento pietistico che ci guida nelle azioni caritatevoli di questo tipo.
E’ il tipico approccio occidentale: evitare di provare dolore.
Lo facciamo sempre.
Anche la nostra medicina lo fa, non toglie il male alla radice, ma cerca di placarlo, di sottometterlo, senza estirparlo alle radici.
La carità è paragonabile così a un antidolorifico. Ti rende felice per qualche ora, magari per qualche giorno, ma a lungo andare il male torna, di solito più forte di prima.
“La carità rende l’uomo una bestia”, un mostro. 
“Gli insegna a camminare, ma gli toglie la vista, la sola che potrebbe indicargli dove andare.”
Gli cura le gambe, ma lo rende cieco.
Personalmente nel mio quotidiano cerco di essere filo-buddista. Il dolore non va placato: va strumentalizzato per superare la sofferenza, bisogna analizzare la situazione a fondo e superandola, liberarsi completamente del dolore.
L’espressione usata è “trasformare il veleno in medicina”.
Mi chiedo ogni secondo se le cose che faccio siano giuste o meno, se “guarisco” gli occhi prima delle gambe, se nel mio piccolo riesco davvero a trasformare il veleno in medicina.
Ho pensato a quello che voglio lasciare alla gente che ormai mi ospita da mesi, alla gente che mi fa sentire in famiglia, che mi ha fatto capire quanto è importante condividere quello che si ha anche quando si possiede poco.
Bisogna sempre porsi uno scopo generale nei progetti per riuscire a realizzare gli obbiettivi principali. 
Lo scopo generale che mi sono prefissata è di perdere il “lavoro”.
Suona ipocrita, ma credo che questo debba essere l’obbiettivo di tutte le persone, istituzioni o associazioni che lavorano nel sociale.
Bisogna fornire gli strumenti per sopperire alle reali mancanze e ai bisogni, senza regalare soluzioni pre-fabbricate.
Formare persone capaci di trovare la propria strada stimolando le menti in modo che possano trovare risposte atipiche per costruire un futuro auto-gestito e che possa auto-sostenersi
Il mio desiderio è di trasmettere tutto quello che so (sempre nel mio piccolo), tutto quello che con il tempo renderà la mia presenza superflua.
Come una mamma che guida i propri figli nel trovare risposte a quelle domande a cui nemmeno lei sa rispondere, che desidera solo il successo e la realizzazione dei loro sogni. 
Come una mamma analfabeta che porta i propri figli a scuola perchè sa che là troveranno il modo per rispondere alla loro domande.
Questo è quello che vorrei donare, questa è la sola carità che voglio fare.

TAGS: Carità KenyaHilary MazzonHilary WatamuKaribuni Onlus

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