RACCONTI
17-06-2010 di Georg Von Eisen
Come preavvertito dal medico, la resa dei conti con "l’impianto idraulico" avvenne il 15 maggio 2008.
Dopo una nottataccia, si dovette ricorrere a quello strumento che alcuni definiscono pestifero, ossia il telefonino. Il chirurgo locale (africano) accettava di operare il giorno seguente, previa serata passata in ospedale per le preparazioni del caso, che consisteva anche in un intervento del "barbiere" per preparare la zona in questione. Il barbiere risultava essere una giovane "barbiera" ossia un’infermiera giá conosciuta in occasioni socialmente piú felici.
Alle 10 del mattino mandammo una sedia a rotelle per trasportare il paziente nel "teatro" come dicono gli inglesi. Il conducente del trabiccolo era il giardiniere, lo "shamba boy" dell’ospedale che si trovò in difficoltà a manovrare il veicolo sull'erba del prato. Decisi quindi di compiere il resto del percorso a piedi tra lo sgomento del personale sanitario. Va notato che in quest’ospedale, le camere di degenza, cosiddette private, distano circa 80 metri dall'edificio proprio, e sono un'aggiunta recente, dopo l'acquisto di una specie di "motel" adiacente, che era rinomato per ospitare coppiette avventurose. Con l'avvento della piaga dell'AIDS, ora ospita, tra gli altri, chi forse si é procurato il malanno proprio in quei locali. In ogni modo le stanze sono pulitissime con bagno e televisione.
L'arrivo in sala operatoria coincise con la mancanza della corrente elettrica. Il generatore d'emergenza era guasto. Dopo consultazioni telefoniche con la KP&L Co. Ltd. (L'Enel locale) decidemmo di rimandare l'operazione e riparammo in camera per un pisolino. La corrente tornò alle 2 del pomeriggio e potemmo fare il nostro ingresso definitivo in sala operatoria.
Questa sala, datata prima guerra mondiale, possiede un tetto di lamiera e delle alte finestre che la rendono piuttosto tetra. Dicono fosse stata costruita come una caserma.
Comunque é in uso giornaliero e vi operano dei chirurghi indiani e africani. Il mio è un giovanotto nero che ha studiato in Sud Africa. Inevitabilmente le cose vanno per le lunghe. In questi casi, (mancanza di corrente elettrica) non rari, gli addetti ai lavori ne approfittano per andare al mercato delle verdure.
In vista dell'evento, arrivano tutti e assisto all'indossamento dei camici verdi. Desta una certa sorpresa assistere a questi preparativi con il personale ( tutto africano) che si comporta allegramente, come se si trattasse di dare inizio ad una serata danzante. Forse questo fa parte della preparazione psicologica, messa in scena a vantaggio del paziente.
Si avvicina sorridente, un signore col camice bianco, che si appresta a punzecchiare la parte bassa della spina dorsale. Questa operazione e' piuttosto delicata e sono pochi gli anestesisti autorizzati a farla. Tutto va bene e presto si perde l'uso o la sensazione di avere le gambe. Il chirurgo, che indossa una specie di lampada da minatore sulla fronte, sparisce oltre l'orizzonte tra le mie gambe. L'orologio sul muro segna le 3.
L'anestesista, si siede accanto e mentre monita il polso e la pressione del sangue m'intrattiene in una discussione sul miserabile prezzo del caffé pagato ai coltivatori in Kenya. A questo punto riemerge il chirurgo che spiega di aver trovato il problema e si accingere a procedere con l'operazione.
Questa dura, in maniera assolutamente indolore, fino alle 5. A questo punto, tra l'allegria generale degli addetti ai lavori, la partita sembra finita e
si ritorna in camera con il solito trabiccolo questa volta maneggiato da due persone robuste, perché si deve attraversare il prato reso soffice
dalla recente pioggia. Impossibile tentare di camminare perché non esistono piú le gambe. In camera si scopre che é stato inserito un apparato idraulico impressionante, che serve a drenare l'acqua che e’ continuamente inserita per via intravenosa. Questo continuerà per diversi giorni. Gradualmente ritornano le gambe e l'acqua scorre prima rossa e poi lentamente si schiarisce. La degenza in ospedale continuerà per altri cinque giorni per assicurare che l'acqua scorra limpida, dopo di ché l'appararato "idraulico" è stato definitivamente rimosso e ho sperimentato per la prima volta, la gioia di svuotare la vescica completamente.
Generalmente, in questi piccoli ospedali privati di provincia il trattamento da parte del personale è buono, il cibo é semplice e
abbondante. Nel mio caso le infermiere venivano tutte le sere a darmi la buona notte con una tazza di cacao. Poi mi accorgevo che venivano non tanto per vedere la bella faccia del paziente, ma per seguire alla televisione l'andamento del concorso di bellezza nel quale vi partecipava la piú bella ragazza del Kenya, Michelle Njeri Cuthberth, residente nella nostra cittadina, figlia di colore di un caro (e ricco) amico inglese.
Un conoscente recentemente era ricoverato a Nairobi in un famoso ospedale. Al ritorno si lamentava del trattamento scadente
ricevuto al costo di Sh 7.000 (euro 52) al giorno. Il costo completo della mia operazione, inclusa degenza, medicine, chirurgo, anestesista ecc non superava Sh 80.000 (euro 600)
Dopo questo tipo d'operazione inevitabilmente si discute su quello che in termini militari si denomina "danni collaterali".
Un amico mi diceva che ora si può dare addio completamente alla funzione procreativa. L'amico inglese Peter, un frequente visitatore, commentava:<< Chi se ne frega della procreazione? Ci sono già troppi bambini randagi sulle strade, perché contribuire all'aumento? >>
Questo va forse bene per un signore che ha 83 anni compiuti.
Peter é un veterano dell'ultima guerra, militava nella P.B.I. inglese, ossia la "poor bloody infantry" (la fanteria scalcinata). Cammina diritto come un fusto, non ha l'autovettura che non puó permettersi con la miserabile pensione che riceve dall'esercito britannico.
Dovendo scegliere tra due liquidi, la benzina e la birra, saggiamente preferiva la seconda. In media si tracanna una cassetta di birre la settimana e si scola almeno mezza bottiglia di whiskey, ma solo a fine settimana. Non chiama quasi mai un passaggio eccetto per ritornare i vuoti e portarsi a casa i pieni (di birra).
Peter é un caro amico che ogni tanto mi canta un pezzo di "giovinezza- giovinezza", imparata in Abissinia con i soldati italiani. Fuma come un turco, mangia solo quando si ricorda, non é mai stato in ospedale e "passa" l'acqua quasi come un idrante dei pompieri. Questo significa che l'età' "a rischio" puó anche non arrivare o arrivare molto in ritardo.
A mio avviso, con orrore da parte di amici e conoscenti, non consideravo necessario andare in Italia per cose del genere.
Per me ha funzionato con una spesa relativamente bassa.
Dopo tre anni il paziente è ancora in vita.
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