Racconti

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Il mercato dei sorrisi

Una mattina all'Old Market di Malindi

29-07-2011 di Fedele Turci L'Odoard

Chiunque frequenti Malindi e non sia un turista “mordi e fuggi” dovrebbe recarsi almeno una volta, prima delle nove del mattino, al mercato della frutta e verdura. 
Io ogni tanto lo faccio e fatalmente mi tornano alla mente molti “perché” del mio innamoramento di questo posto. 
L’ultima volta, per calarmi nell’ottica africana, ho deciso di lasciare a casa anche la macchina e mi sono incamminato a piedi in cerca di un tuk-tuk. 
Il primo ad affiancarmi è stato un boda-boda, le simpatiche bici-taxi condotte quasi sempre da pennelloni con lunghe leve e un accenno di rivoli di sudore sulla fronte, con fragranze non proprio inebrianti provenienti dalle loro ascelle.
Ma è capibile, anch’io non profumerei di Armani Pour Homme se pedalassi tutto il giorno sotto il sole. Mi chiede se voglio un passaggio.
“No, grazie, cammino un poco” mento spudoratamente.
Così mi tocca dire no anche a un più invitante piki-piki, la motoretta guidata da un bulletto con la maglia del Manchester United, che arriva poco dopo. Il boda-boda infatti è in fondo alla strada e gli passerei davanti a sfregio e questo non è onesto. 
Quindi prendo una traversa sterrata e finalmente appare Mosè.
E’ il driver di un tuk-tuk che conosco, perché arriva sempre a casa mia con una mia amica che ogni tanto viene a trovarmi. Non è più tanto giovane, e infatti i suoi clienti hanno italianizzato la parola “mzee” (vecchio) swahili con “Mosè”, e ormai anche lui ti dice che si chiama così. 
D’altronde non c’è niente di male, a Malindi tra i swahili, cioè i kenioti di origine araba, è pieno ormai di Abramo (Ibrahim), Stefano (Seif) e Mimmo (Mohamed).
Mosè mi riconosce e mi invita a salire.
“Dove ti porto, bwana?” mi fa.
“Al mercato della frutta, ma non passare dalla strada asfaltata!”
Così imbocchiamo Majengo, il quartiere dove i bambini giocano a palla tra la spazzatura e le galline e dove le parrucchiere lavorano all’esterno del loro negozio, intrecciando capelli per ore e ore, discutendo di qualunque cosa con vicini e passanti. Conversazioni a cui alla fine prende parte anche la cliente del parrucchiere, ovviamente. 
Tagliamo la città araba in due e Mosè, con molta abilità, evita un camion tutto storto, un pazzo al volante di una station wagon coi vetri scurissimi e una pecora slegatasi da una corda malamente attaccata a una panca di legno fuori da una macelleria.
Arriviamo finalmente in quel crogiolo di urla e di colori, di odori forti ed essenze fluttuanti nell’aria che è il mercato vecchio di Malindi. Scendo dal tuk-tuk e saluto Mosè.
“Quanto ti devo?”
“Sema wewe…” fai tu, mi dice. 
Era meglio che facesse lui. 
Gli lascio 100 scellini, anche se so che la corsa ne varrebbe 50, per un residente.
Ed eccomi nel festival dei sorrisi!
Sorrisi delle vecchie che passano l’intera giornata a pulire e sminuzzare gli spinaci, per poi metterli in sacchetti monoporzione da cinque scellini. 
Sorrisi delle mama che si sono fatte tanti chilometri a piedi con le loro ceste, per portare manghi, papaie e banane del loro shamba da vendere. 
Sorrisi dei ragazzetti che ti venderebbero di tutto, anche se la loro baracca promette solo carbone e cavolo bianco. Sorrisi di chiunque ti incroci per la strada.
Mano a mano che ti introduci nei meandri del mercato, alla ricerca dei pomodori più rossi e grandi e delle patate meno sporche e bitorzolute, i sorrisi aumentano. Quando poi sentono che conosci qualche parola in swahili e non solo “jambo!” è festa grande! Ridono di gusto e si scambiano occhiate e parole tra di loro come dire “Hai visto il mzungu? Ha imparato a parlare la nostra lingua!”
Sorridono mentre pago e mentre gli spiego cosa intendo cucinare con tutta quella verdura, cercano di capire se ho un albergo o un ristorante, se tornerò tutti i giorni o sono qui per caso. 
Un altro Mosè, ma molto più Mosè, non vuole sentire ragioni e mi porta le due borse piene di ogni tipo di verdura, che so già sarà buonissima e che mi è costata uno scherzo, anche rispetto ad altri posti di Malindi.
Le borse pesano, altrimenti me ne starei a girare ancora un po’ qui, anche senza comperare niente. Mi saluta sorridendo il proprietario del negozio di vimini, la mama che vende sigarette e fiammiferi, c’è anche un mezzo ubriaco che cerca di vendermi qualcosa che non sa neanche lui cos’è, ma quando capisce che non sono un turista, guarda caso sfodera anche lui un sorriso sdentato e mi chiede una sigaretta.
Fermo un tuk-tuk al volo, è un giovane tutto esaltato, ha anche la musica a bordo. 
Non ci crederete ma mi stampa un bel sorriso.
Ho fatto il pieno e posso tornare a casa, prendere la macchina e andare a lavorare, sorridendo.
Più tardi sfilo per Lamu Road, sento le urla di un italiano che litiga con qualcuno, penso che c’è chi vive a Malindi da tanti anni e non ha mai fatto la spesa al di fuori di Lamu Road, e mi viene un po’ tristezza. 

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