Racconti

I RACCONTI DI CLAUDIA

Karibu Kenya amica mia

LO SGUARDO IRONICO E GARBATO DI UNA DONNA CHE HA VISSUTO A MALINDI

25-02-2010 di Claudia Peli

La settimana scorsa è venuta a trovarmi un’amica dall’Italia.
Le ho parlato così spesso in questi anni della bellezza del Kenya e della dolce vita a Malindi, che alla fine la curiosità ha avuto il sopravvento.
Alessandra ha viaggiato poco nella vita: non conosce granché il mondo, e per nulla l’Africa.
Quindi, non appena è sbarcata dall’aereo, le ho fatto una dettagliata introduzione informativa su tutto ciò che di importante c’è da sapere per non farsi fregare e godersi una bella vacanza a Malindi.
Io di giorno lavoro, pertanto lei è abbandonata a se stessa… se la caverà? Vedremo.
Un paio di mattine fa si è commossa perché un ragazzetto si è arrampicato lesto e agile in cima ad una palma per raccoglierle una noce di cocco, che si è gustata dopo un bagno in mare.

“Ma pensa, che pericolo arrivare fin lassù, e tutto per un cocco! Senza neanche un’imbragatura o una corda…che coraggioso!”

“Eh sì, senza neanche una rete di protezione sotto …”

La prendo in giro, e poi le spiego che questi bambini imparano prima ad arrampicarsi sulle piante che a camminare.

Sono molto più svegli e autonomi dei nostri bambini: da queste parti l’infanzia è un lusso che dura poco. E Lei annuisce.

“Gli hai dato qualche monetina per ringraziarlo?” Le chiedo.

“Certo, mi ha chiesto 500 scellini.”

“Che cooosa?! Ma così ci rovini il mercato … non glieli hai dati, vero?”

“Ma no, non ti agitare, gliene ho dati solo 300, non mi faccio mica fregare io, eh!”

“Con 300 scellini potevi avere dieci cocchi.”

“Ma poverino … e poi mi ha detto che non ha neanche le scarpe per andare a scuola.” Mi confida preoccupata.

“Beato lui! Così ha i piedini liberi e freschi, a contatto con la terra, non gli si accavallano le dita e niente vesciche sui talloni.”

“Come sei cinica!” Sbotta infastidita.

“Ma non ti ricordi che anche noi da bambine ci toglievamo le scarpe appena potevamo e ce ne andavamo in giro a piedi nudi? Era così divertente … quante Tepa Sport abbiamo buttato nel fosso dietro casa?”

Ma la mia amica scuote la testa e sbuffa, e mi annuncia che nel pomeriggio accompagnerà il bambino da Bata per comprargli un paio di scarpette comode.

“E brava Ale, così poi le rivende… prendigli delle infradito di gomma: le usano tutti qui, anche i wazungu, e vanno sempre di moda.”

Ma è fiato sprecato, so che farà di testa sua.

Questa mattina invece è stata abbordata da due rasta muscolosi e allegri, che l’hanno scortata come guardie del corpo fino al parco marino.

“Certo che qui a Malindi sono tutti così solari e vivaci, eh? Che bel popolo, hanno la gioia dentro…” Asserisce convinta.

“Ma dai Ale, non cadere nella retorica anche tu, come minimo quei due si erano appena fumati una canna sotto una palma… per forza che erano gioiosi!”

“Ma no, loro sono fatti così di natura: peace and love, è la loro filosofia di vita… non essere sempre scettica!”

“Sarà che io ci vivo insieme da sette anni e ho imparato qualcosa riguardo a loro. Tu sei qui solo da sette giorni.”

“Ma tu non hai amici africani?” Mi chiede pungente.

“No, ho solo dei conoscenti. Te l’ho detto che le volte che mi sono fidata, poi sono sempre stata delusa. Alla fine, con grande faccia tosta, vengono sempre a chiederti qualcosa. Non so a quanti di loro interessi la mia amicizia fine a se stessa.”

“E non sei mai stata con uno di loro in tutti questi anni?”

Mi chiede maliziosa.

“Stata in che senso?” E drizzo le antenne.

“Ma si, dai che hai capito… non sei mai stata con uno di colore?”

“Mai, mai.” Glielo ripeto due volte, per rendere chiaro il concetto.

“E perché? Alcuni sono così carini … in spiaggia ne girano tanti.”

Resto senza parole, eppure la conosco da quando ho cinque anni.

Che faccio? Le do una bottigliata in testa e la imbarco sul primo volo per l’Italia domattina?

“Senti Ale, non diciamo sciocchezze… sarebbe già un misfatto, nella mia famiglia, se mi fidanzassi con uno che viene da sotto il Po. Figurati con uno che viene da sotto il Sabaki…” Scherzo per sdrammatizzare.

“Ah già … dimenticavo che sei un po’ leghista tu.” Ribatte  acida.

“Ma se non voto da cinque anni! Sono apolitica …”

La nostra conversazione termina qui.

Spero solo che non si metta a fantasticare su qualche rasta muscoloso e gioioso: ci manca solo che domattina quando mi sveglio me ne ritrovo uno in mutande in cucina che si affetta tre fette del mio salame nostrano.

Credo che se vivessi a Nairobi, i miei rapporti con la gente del posto sarebbero diversi: forse qualche amicizia lassù la potrei intrecciare.

Ma il gap sociale e culturale che c’è tra me e le persone africane con cui mi relaziono quotidianamente qui a Malindi è troppo profondo.

Io adoro tutta questa umanità colorata che mi formicola intorno; come il l’askari, lo shamba boy, i ragazzi dello staff al lavoro, le venditrici di banane, quelle di parei, i pescatori, i boda boda, quelli che tirano i carretti, quelli che ti sorridono senza denti, le donne che vanno al pozzo con le taniche sulla testa, i bambini che si rincorrono nei cortili delle scuole…ma sono consapevole che apparteniamo a due mondi troppo distanti e diversi.

Così mi accontento di avere con loro rapporti educati e superficiali.

Fin da quando sono arrivata qui ho sempre avuto la sensazione che ognuno sta bene ancorato sulla propria sponda del fiume, e in mezzo scorre sempre tanta, tanta acqua.

Comunque, per fare un passo avanti e stupire la mia cara amica, ho deciso di parafrasare Roddy Doyle.

Vado qua sotto da Geppetto, il falegname che intaglia il legno fuori dal mio cancello, e gli commissiono una targa con sopra inciso:

 

Se ti chiami

Kazungu o Katana

E di Malindi sei cittadino

Ci sarà sempre

Un BENVENUTO per te

Sullo zerbino

 

Chissà se poi lo appenderò fuori dalla porta.

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