Reportage

REPORTAGE

Malindi-Nairobi On The Road: prima puntata

Vi raccontiamo il Kenya di oggi, tra "Corona" e cambiamenti

23-09-2020 di Freddie del Curatolo

Da Malindi a Nairobi on the road, con una puntata in una Conservancy del Maasai Mara e ritorno sempre in macchina, per promuovere il turismo (specie quello sostenibile) in Kenya e onorare gli sponsor che ci ospitano e ai quali diamo visibilità sul portale degli italiani.
La Toyota Rav4 di Malindikenya.net, vent’anni portati bene con qualche trucco del mestiere, è pronta per l’avventura.
Innanzitutto per chi da Malindi vuole andare a Nairobi in macchina, la strada da evitare il più possibile è la Mombasa-Nairobi.
La cosiddetta "Highway". Due sole corsie ad altissima densità di tir e pullman di linea (i più pericolosi).
Ma noi abbiamo un piano...e soprattutto da residenti paghiamo dai 2 euro ai 5 euro l'ingresso nei parchi e nelle riserve naturali del Kenya. Cercheremo di evitare il più possibile la grande direttrice, sia in andata che al ritorno.
Lasciamo Malindi di buon’ora ma neanche tanto, per non snaturare le nostre abitudini di dormiglioni. Qui ci si sveglia all’alba solo se si è desiderosi di vedere il sole comparire dall’Oceano Indiano o se si è costretti. Altrimenti le 8.30 sono un orario più che decente.
La strada per il Sala Gate, ingresso sud al Parco Nazionale dello Tsavo Est, è ormai da tempo totalmente asfaltata. Complice il periodo senza turismo e con tanta gente a risparmiare anche sulla benzina, la strada è praticamente vuota.
Incrociamo giusto un paio di automobili e qualche motocicletta, nessun camion e tante donne che trasportano legna o taniche dell’acqua sulla testa, accompagnate dai loro bimbi-pulcini che in questo periodo non possono andare a scuola o all’asilo.
Percezione Coronavirus, totalmente assente.
La ritroviamo, giocoforza, nei rangers del Kenya Wildlife Service.
Dopo un’ora e mezza, infatti da Malindi arriviamo all'entrata del Parco Nazionale dello Tsavo Est.
Da qui, lungo una pista sterrata a tratti accomodante, in altri frangenti sconnessa, ci dirigiamo verso Manyani Gate, ultima uscita possibile lungo la Highway.
Mentre passiamo in tranquillità (massima velocità consentita, 50 kmh) gli abitanti locali, erbivori e felini, ci osservano o spesso, giustamente, se ne fregano. Ma noi ci fermiamo e tutti onoriamo di uno sguardo e di un saluto.
Costeggiamo le rive del fiume Galana che porta ancora acqua, memore delle recenti piogge che però non sono state sufficienti a tenere l’erba verde sulle sue sponde. La savana è arida e gli animali si muovono di continuo cercando pozze o laghetti artificiali.
Prima di arrivare alle Lugards Fall, superato il vecchio mitico Bigi Camp, scenario di tanti indimenticabili safari, spazzato via dalla furia del fiume due anni fa, qualcosa sulla strada colpisce la marmitta che ne rimane offesa, trasformando la Rav4 in una Lancia Fulvia del 1973 supermodificata. Se apro il gas oltre i 30 kmh il leone risponde ruggendo e le gazzelle scappano.
Mi fermo e scendo a controllare. Dietro di me c’è un macchinone, quel Toyota simile all’Hummer, guidato da un uomo d’affari di Nairobi che, come noi, ha scelto di tagliare lo Tsavo per tornare a casa. Gentilissimo si ferma e guardiamo insieme il danno. Niente di irreparabile, ma peserà sulla tabella di marcia. D’altronde non pensavo di arrivare a Nairobi in un solo giorno.
Proseguiamo quindi per Manyani Gate a velocità da elefante zoppo e dall’uscita del Parco ci aspetta un’altra oretta buona in scia di qualche camion per arrivare a Mtito Andei, tappa di mezzo dove i meccanici sono tanti e pure esperti: come avvoltoi attendono al varco vetusti autoarticolati, sbuffanti matatu  e le vetture meno adatte alle lunghe distanze.
E’ il nostro caso.
Siamo nelle mani di "Macho", che non è un saldatore muscoloso, ma è il soprannome di un tipetto sveglio. D'altronde in kiswahili significa "occhi" e speriamo ne abbia anche per il nostro fuoristrada.
Anche qui il Covid-19 non esiste o se esiste è in transito veloce, quindi si ferma a contagiarti solo se ha il motore in panne o una gran voglia di fare la pipì.
E dopo un’altra ora, durante la quale ci inoltriamo nei vicoli e negli anfratti di questo paesone attraversato dall’autostrada, facendo conoscenza di venditori di pollame, barbieri, elettricisti e anime impolverate di passaggio, la nostra marmitta è come nuova.
O, meglio, come un settantenne con il bypass. Pronta a viversi una delle sue ultime avventure fino in fondo.
E’ ora del pranzo da viaggio: un po’ di frutta, tanta acqua (da restituire a qualche cespuglio lungo la highway) e via verso nord, a Kiboko dove abbiamo deciso di riposare.
Sfilano altre tappe affacciate al mondo in transito, poi Makindu, il villaggio delle zucche e delle borse, e infine, ma proprio infine, intorno alle 6 del pomeriggio arriviamo in un posto mitico: l’Hunters Lodge.
Proprio dietro la highway, nel villaggio di Kiboko a 250 chilometri da Nairobi, da oltre sessant’anni c’è questo rifugio che era la tenuta dello scozzese John Hunters, che era cacciatore di nome e di fatto. Ed eccoci in uno di quei film senza tempo di un'Africa selvaggia ma disposta all'ordine naturale delle cose, spietata ma con un fascino che va al di là di ogni paura, di ogni scommessa con la vita.
Quanto insegnamento per tanti fantasmi dell'epoca moderna, che proteggono le loro esistenze vuote da nemici invisibili e perdono il contatto con le cose reali e le vere emozioni. 
Bando alla filosofia, sarà la stanchezza della guida a portarmi a considerazioni nostalgiche.
Fatto sta che oasi come queste stanno scomparendo anche in Kenya.
Qui c’è ancora il laghetto originale, dove chi si fermava ai tempi poteva addirittura nuotare e pescare.
Hunters ti faceva fare campo se avevi la tenda e ti offriva carne d’antilope o di facocero cotta nel camino, prima di costruire qualche cottage.
I tanti amici britannici e anche qualche pioniere italiano mi hanno raccontato storie fantastiche di quei tempi, a cavallo tra la Colonia e l’Indipendenza.
Ora l’Hunters Lodge è diventato un albergo a tutti gli effetti, dietro al laghetto c’è una piscina, hanno eretto nuove stanze.
E’ stato acquistato da una catena indiana; è pulito, rispettoso delle regole Covid-19. La tusker non è proprio baridi sana ma non si mangia male. Soprattutto di questi tempi puoi fare più o meno l’offerta che vuoi e ti ospitano.
Stanchi, rimarmittati e pronti al secondo giorno di viaggio, andiamo a riposare.
Non senza avere il tempo di aggiornare Malindikenya.net e di continuare a raccontarvi la realtà di questo Paese.
Intanto guardatevi le foto viaggianti di Leni.
A domani!

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