L'angolo di Freddie

RACCONTI

Chi ha portato via l'ugali?

Adattamento keniano di una metafora contro la paura del cambiamento

03-04-2021 di Freddie del Curatolo

Nel 1998 lo scrittore e sociologo Spencer Johnson pubblicò un libretto che in poco tempo diventò un best seller tra chi avvertiva il peso ma anche le opportunità di miglioramento dei cambiamenti sociali in corso e a venire nei primi anni del Nuovo Millennio.
Il libro si intitola “Chi ha spostato il mio formaggio?” e racconta una storia che è grande metafora del genere umano di questi tempi.
Chi frequenta il Kenya e lo conosce, sa che una storia del genere potrebbe essere tranquillamente ambientata nel Paese africano e, in un momento in cui c’è tempo per leggere e riflettere, dovendo stare in casa, noi vi proponiamo volentieri un riassunto adattato, rimandandovi ovviamente anche alla lettura dell’opera originale di Johnson.

Due manovali della periferia di Malindi senza fissa dimora, Fondo e Kahaso, lavorano temporaneamente in un deposito di farina di mais, quella utilizzata per l’ugali, il piatto nazionale keniota. Nell’edificio dalle tante stanze e dalle tante porte che dividono le scorte per poi destinarle a tutti i camion che vengono a caricare per portarle in ogni angolo della Contea, lavorano anche gli askari Gunga e Gongo.
Ogni giorno i manovali arrivano, aiutano a caricare e poi restano nei paraggi, perché in qualche stanza giace sempre un mucchietto di farina fuoruscito da un pacchetto che si è rotto o addirittura una confezione dimenticata in un angolo.
I proprietari del deposito lasciano fare, l’importante è che i loro dipendenti siano attenti nel lavoro. Sanno benissimo che dietro il deposito ci sono un pentolone e del carbone sempre pronto per preparare piattoni di ugali con la sukuma wiki o la mchicha raccolta in un orticello lì vicino.
A volte, oltre alla razione quotidiana, c’è anche qualcosa da recuperare per la famiglia o semplicemente da rivendere per campare.
Kahaso, detto Grande Naso, ha ormai imparato a fiutare un granello di “unga wa mahindi” anche a cinquanta metri di distanza, mentre Fondo, detto “Girotondo”, potrebbe fare lo speleologo da quanto è bravo a scoprire nicchie e nascondigli.
Così, grazie anche alla complicità dei due askari, ogni sera ispezionano con perizia la struttura in ogni anfratto e sempre trovano qualcosa. Si aggirano con circospezione, pronti a scappare e anche a perdere il lavoro e dover emigrare da qualche altra parte per raccattare il necessario per nutrirsi, se dovessero essere scoperti.
Gli askari invece sono più rilassati, hanno uno stipendio fisso e arrivano a volte anche in leggero ritardo, tanto sanno che da qualche parte c’è da mangiare anche per loro.
Un giorno, complice l’inaspettata pandemia, arriva la crisi anche a Malindi e la farina inizia a scarseggiare.
I primi ad accorgersene sono i due manovali, che prendono le loro poche cose e cambiano cittadina, alla ricerca di altri depositi, granai o aziende produttrici di qualcosa.
Insomma la situazione era cambiata e loro cambiavano con essa.
Gli askari inizialmente non ci fanno caso, arrivano al lavoro con la solita flemma e poi iniziano ad indignarsi.
“E’ un’ingiustizia, questo lavoro ora diventa troppo poco remunerativo e più faticoso” dicono.
Si erano costruiti una vita abbastanza agiata, rispetto ad altre categorie che dovevano lottare ogni giorno per la loro porzione di “ugali”.
Il giorno dopo arrivano un po’ più presto, ispezionano le stanze e non trovano nemmeno una confezione di farina, ma allo stesso tempo si rendono conto che Fondo e Kahaso se ne sono andati.
Che abbiano portato con loro tutta la farina? Impossibile, probabilmente sono andati a cercarne altra altrove. Ma come mai in questo deposito non ne arriva più, chi ha portato via l’ugali?
Gongo, che ride sempre anche se ha un dente solo e per giunta dondolante, suggerisce a Gunga che passa per essere un indeciso cronico, di lasciare quel lavoro sottopagato e andare alla ricerca di Fondo e Kahaso o comunque di nuove scorte supplementari di cibo.
Gunga rifiuta seccamente, preferisce aspettare e non rinunciare a quel poco di sicurezze che ancora gli rimangono.
Ogni mattina Gongo, che non ha il coraggio di provarci da solo, cerca di convincere Gunga, ma ottiene sempre un secco diniego.
Nel frattempo, Girotondo e Grande Naso hanno trovato un’altra occupazione temporanea che gli permette di recuperare qualche extra. Lavorano in un’azienda che produce anacardi a Kilifi e riescono a sbarcare il lunario, forse anche meglio di prima. Ci hanno messo un po’ a guadagnare la credibilità del proprietario che all’inizio li sottopagava, ma ora riescono a sempre a uscire a mani piene dalla fabbrica dove si impacchettano migliaia di frutti secchi al giorno.
Per Gongo e Gunga invece, ogni giorno aumenta lo stress e arrivano a recriminare come se i “bei tempi” fossero un diritto assimilato e non una fortuna temporanea.
Una notte Gongo fa un sogno: vede i due manovali che stanno bene, hanno pure una bella pancia gonfia e si permettono una bottiglia di birra al pub. Così si sveglia e immagina di poterli raggiungere, ovunque loro siano, e di farsi assumere come askari, o anche come operaio, perchè no?
Gunga inizia a vacillare, ma vuole aspettare fine mese, è convinto che qualcosa arriverà e che se si metteranno d’impegno riusciranno prima o poi a trovare qualche generoso lascito.
“Sono troppo vecchio per mettermi a cercare un altro impiego, sarei uno stupido se lasciassi questo per andare all’avventura in questo periodo”.
Gongo inizia a ridacchiare come fa quando riflette, si tocca il dente traballante e saltella. Gli viene da ridere ancora più forte pensando che alla fine è solo la paura che lo trattiene dall’agire.
Così prende un tozzo di carbone e scrive sul muro del deposito di farina: “Cosa faresti se non fossi un pauroso?”.
Decide di rispondere egli stesso alla sua domanda, prendendo un bel respiro e scagliandosi verso un futuro incerto. Mentre si avvia, capisce che questo periodo di poco cibo e di tanti pensieri lo ha un po’ indebolito e giura a sé stesso che se dovrà affrontare altri cambiamenti nella vita, in futuro non si farà trovare così impreparato, ma giocherà d’anticipo seguendo la ragione pur senza dimenticare l’istinto.
L’askari ridanciano gira per giorni e notti la Contea alla ricerca di un piatto di ugali e di un lavoretto qualsiasi, ma non è facile. La forza che lo sorregge è il pensare che stando sdraiato a controllare un deposito vuoto non sarebbe cambiato nulla: almeno in cammino incontra persone, scambia pareri e sorrisi, impara qualcosa. Si sente finalmente padrone di sé stesso e della sua situazione, non aspetta regali dal cielo né si lamenta se non arrivano, ma è più attento, ricettivo.
Ogni tanto ripensa all’amico Gunga e si domanda se anche lui si sia mosso o sia rimasto al deposito, paralizzato dalle sue paure.
Non sa come andrà a finire questa storia, se un giorno qualcuno lo troverà esausto e debilitato sulla soglia di una capanna o verrà trasportato da qualche stregone che gli farà bere decotti di moringa.
Ha preso l’abitudine di lasciare segni del suo passaggio sulle pareti esterne degli edifici in muratura che incontra sulla via. Con il suo pezzo di carbone scrive “Quando ti muovi oltre le tue paure, ti senti libero”. E’ la forza dell’immaginazione a tenerlo in piedi, quando sogna si immagina il nuovo approdo lavorativo grazie al quale potrà gustare un gran piatto di ugali e cavolo stufato, il suo condimento preferito.
Su un altro muro scrive “Immaginare di gustare un nuovo piatto di polenta, anche prima di averlo trovato, mi conduce ad esso”.
E quando in un villaggione sulla via di Kilifi trova un altro deposito di farina quasi abbandonato, ne rimane sconfortato anche se riesce a recuperare con la sua esperienza qualche mucchietto da far bollire fuori da una capanna  con la complicità di una mama generosa.
Si affretta ad appuntare sul lato di un’altra palazzina: “Più velocemente lasci il vecchio ugali, più rapidamente troverai il nuovo”.
Proprio così. Gongo ora non è felice solo per l’ugali quotidiano, ma per la sensazione di non essere schiavo della paura. Si sente più forte e sicuro di quando lavorava senza chiedersi nulla del futuro, nel deposito di Malindi. Scrive: “E’ più sicuro cercare in giro che rimanere in una situazione senza ugali”.
Capisce anche che la paura nella propria mente è stata più dura della realtà: "Vecchie convinzioni non ti portano a nuovo ugali".
E finalmente accade.
Gongo si trova davanti alla fabbrica di anacardi che sta andando alla grande, grazie ad un contratto con una multinazionale americana. Lì vede Kahaso Grande Naso e Fondo Girotondo che non sono più semplici operai, ma hanno una divisa da dirigenti del controllo qualità e una gran bella pancia.
Di fianco alla fabbrica c’è una mensa che prepara ogni giorno oltre duemila piatti di ugali, per i dipendenti della fabbrica e di altre aziende del quartiere industriale di Kilifi.
“Dite che mi potrebbero assumere come askari?”
Con il contratto in mano, Gongo comprende dunque tre cose:
1. Il maggior freno al cambiamento è in noi stessi
2. Le cose non migliorano, se non cambi te stesso
3. C’è sempre un nuovo piatto di ugali per te là fuori, che tu ci creda o no
Sarebbe facile ora ritornare nella pigrizia, ma lui sa che non ricadrà più nel vecchio errore.
Sebbene con il suo lavoro abbia un sontuoso piatto di ugali al giorno più uno stipendio da mandare alla famiglia, non farà passare troppo tempo senza controllare che nessuno si porti via le riserve di farina e semmai se proprio dovrà chiudere un occhio, sarà per qualcuno in cui riveda il suo stesso spirito, o quello di Kahaso e Fondo . Mai dare niente per scontato, ma farsi trovar pronto a un nuovo cambiamento. Durante una delle sue perlustrazioni notturne fuori dallo store della mensa, sente un rumore, come di qualcuno che si avvicina. Per un attimo spera e prega che sia il suo amico Gunga, e che anche lui abbia imparato l'insegnamento "Muoviti con l’ugali e apprezzalo!".

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