L'angolo di Freddie

L'ANGOLO DI FREDDIE

Un insolito contrabbando dal Kenya agli Usa

La storia vera (ma romanzata) di un sequestro particolare...

09-10-2023 di Freddie del Curatolo

Il prezioso carico era nascosto in una bianca e piuttosto anonima scatola di dolciumi di una pasticceria di Nairobi.
Il logo, stampato in rosso ai bordi della confezione ed il sigillo adesivo dorato che bloccava l’apertura, non lasciavano adito a dubbi.
Dalla scatola non fuorusciva alcun odore, se non un vago ricordo di vaniglia e cioccolato.
In più nella grande Samsonite pronta per essere spedita al check-in, si sarebbe confusa in mezzo a mille altri carichi, indumenti e paccottiglie per turisti.

Nessuno avrebbe potuto sospettare che lì dentro si nascondesse qualcosa di così prezioso, almeno per lei e per la sua attività negli Stati Uniti.
“L’Africa è sempre stata terra di conquista, e lo sarà anche per me e la mia filosofia di vita – pensava la donna – questo sarà l’inizio di una scalata verso il successo!”.
In fondo era stata anche una vacanza di piacere, in cui questo atipico contrabbando si era inserito a meraviglia. La refurtiva era stata recuperata in una splendida riserva naturale del Samburu, una manciata di ore a nord di Nairobi. In quel paradiso di vibrazioni e silenzi, d’immensa savana ed aspre e rocciose colline, paesaggi lunari in mezzo a fiumi in secca e improvvise rigogliose foreste, era possibile fare anche l’escursione, il “safari” come lo chiamano in Africa, a piedi.

Scortata da un giovane samburu in abbigliamento da guerriero, con tanto di lancia e scudo, era stato facile realizzare ciò per cui era arrivata fino a lì. Le indicazioni giuste, una bella mancia, circospezione e in poche ore era in possesso di ciò che desiderava per il suo lavoro.
Diamanti grezzi pronti a trasformarsi in gioielli non fini a sé stessi: dietro al guadagno c’era un’etica, un senso alto, una battaglia che avrebbe svegliato le coscienze.
Mancava solo l’ultimo passaggio, quello dello scanner all’interno delle partenze internazionali.
Le fecero levare le scarpe e posare l’iPhone in una vaschetta, insieme all’inseparabile marsupio in cui aveva i documenti e le chiavi della grande casa nello Iowa, tra le dolci colline che contornano il parco nazionale di Maquoketa e le sue caratteristiche caverne.
Mentre controllava che nulla potesse essere sottratto dalla vaschetta, la Samsonite con il suo tesoro africano passava indenne sotto i raggi della polizia aeroportuale.

Era fatta!
Quella leggera ansia insinuante che le aveva fatto sognare la notte precedente prigioni inospitali nella periferia della capitale keniota, tra donne corpulente che la prendevano per i lunghi capelli e scarafaggi danzanti vicino alle sue parti intime costrette a posarsi sul pavimento umido, stava svanendo insieme alle ultime immagini di statuette d’ebano, coperte masai e scatole di tè al Duty Free Shop del Jomo Kenyatta International Airport.
Si imbarcò sul volo KLM che l’avrebbe portata ad Amsterdam, ma sulla valigia con la scritta Minneapolis era già segnalata la destinazione finale.
Dopo 23 ore complessive di volo, atterrò sul suolo americano.
Era a casa.
Da lì a poco avrebbe aperto quella scatola e, dopo una mezza giornata di meritato riposo per smaltire il jet-lag, si sarebbe messa al lavoro per realizzare il primo di tanti capolavori da commercializzare.

Si presentò con il sorriso ai doganieri.
“From Africa?”
“Yes, from Kenya…a very nice safari”
Un funzionario stempiato sulla cinquantina, con il naso da pugile con più sconfitte che match trionfali, lesse nel suo sguardo una gioia fastidiosa, infantile e allo stesso tempo audace, perfino arrogante. Chissà quanto aveva speso per una vacanza in quella terra di bestie e neri, che in fondo per lui erano un po’ la stessa cosa.
“Devo aprirle la valigia, signora. Meglio che mi dica subito se ha qualcosa da dichiarare, perché se la trovo io è peggio”.
“Certo, agente, è un suo diritto – sorrise la donna - Ma la avverto che non troverà nulla di interessante, non ho corna di rinoceronte o denti di leone, né pietre preziose…”
Non si sbagliava: con quello spirito da quattro soldi e quel fastidioso accento dello Iowa, era proprio una donna arrogante.
“Non serve che abbia avorio o diamanti, anche solo della frutta tropicale che non ha passato i controlli sanitari nel paese di provenienza può costarle una multa salata. Mi faccia controllare e le ripeto per l’ultima volta: qualcosa da dichiarare?”

Un brivido la percorse completamente, mentre si sforzava di rimanere tranquilla e di fermare il tremito delle mani che agivano sulla combinazione della Samsonite.
Le venne in mente quella volta che, al college di Des Moines, per fare un dispetto ad una compagna smorfiosa, le aveva riempito le tasche del cappotto di melassa e di grosse formiche pizzicanti, costringendola a denudarsi nel corridoio, tra le risate generali di scherno dei compagni.
Qualche giorno dopo, visionando i filmati delle telecamere della scuola, la commissione investigatrice in un fermo immagine la immortalò con la scatoletta di melassa in mano, mentre si avviava verso lo spogliatoio.
Fu abbastanza per espellerla dall’istituto.

Da lì aveva iniziato a cercare metodi alternativi alla laurea da avvocato che sognavano i suoi anziani genitori e si era dedicata al design di gioielli, fino al nuovo progetto che l’aveva portata fino in Kenya.
“Ok agente, in effetti un ricordo dell’Africa che ho portato con me ci sarebbe…ma non ha alcun valore commerciale, mentre invece a livello etico e per la salvaguardia delle specie protette, ha un altissimo significato e io mi batto per la…”
“La faccia breve e mi mostri di cosa si tratta, abbiamo altre cose da sbrigare qui…”
Recuperò la scatola bianca avvolta in uno “shuka” dai caratteristici quadretti rossi e blu.
“Ecco…ora la apro, come le dicevo niente di speciale. Le consiglio di non toccarla”
Il funzionario scrutò quelle pallotte di colore marrone scuro, sembravano sassi ricoperti di fango secco. Pensò che poteva essere una copertura per nascondere pietre preziose. Il sequestro di diamanti provenienti dal centro Africa era ricorrente e alcune si erano rivelate non solo illegali, ma anche radioattive perché rivestite di uranio.

“Mi spiace, ma dovremo analizzare questi oggetti, signora. Mi dica subito cosa sono esattamente”.
“Come le ho detto, agente, niente di valore o di pericoloso. Questa è cacca di giraffa, originale della regione samburu del Kenya”
“Scusi?”
“Cacca. Feci. Escrementi di giraffa. Io la userò per farne collane ecosostenibili per una campagna contro il bracconaggio e l’uccisione delle specie protette, oltre che per sensibilizzare sulla minaccia della loro sparizione per via del cambiamento climatico”.
“Mi spiace, signora, ma non le credo. Deve seguirmi e devo chiamare il nucleo antisofisticazione, i tecnici del comparto di polizia chimica e di analisi e…un veterinario”.
“Ma mi può credere, se vuole sull’Iphone ho le foto dei gioielli che ho prodotto con la pupù delle alci nello Iowa, dove abito. Io sono un’artista concettuale, faccio delle cose bellissime…lei non può…”
“Mi segua, signora”

Il veterinario indossò la mascherina, con una specie di pinza sondò una delle polpette dure che serbavano qualche ciuffo d’erba secca.
Ne ruppe una e vi versò alcune gocce di un liquido di contrasto.
Parlò con il capo del nucleo antisofisticazione, che prese la scatola e la portò via.
A questo punto, la donna esplose. La sua vacanza, duemila dollari di volo, il lodge in savana, l’ansia, i sogni di fare qualcosa di remunerativo per ripagarsi tutto e allo stesso tempo mandare un messaggio al mondo intero…tutto stava andando in fumo, anzi era il caso di dire “in merda” per colpa di uno sfigato di poliziotto zelante e dell’assurda burocrazia del suo paese.
“Le mie collane…voi non potete! Sono una cittadina americana incensurata, dovrete rispondere di questo sequestro”.

Un uomo in giacca e cravatta che faceva parte del team, le si avvicinò sorridendo.
“Buongiorno signora, mi chiamo Augustin Moore, sono il direttore del controllo doganale e di frontiera dell’area portuale del Minnesota. Forse noi risponderemo, ma lei sicuramente dovrà presentarsi in tribunale per commercio clandestino di escrementi animali e tentata diffusione di malattie ed epidemie quali la peste suina africana, la peste suina classica, la malattia di Newcastle, l'afta epizootica e la malattia vescicolare dei suini. Da tempo i nostri specialisti in agricoltura mitigano la minaccia di parassiti, malattie e contaminanti non autoctoni che entrano negli Stati Uniti e il problema degli escrementi fecali è uno dei più importanti da combattere. Il suo è un piccolo, sconsiderato atto di guerra batteriologica. Tralasciando, ovviamente, il contrabbando e il modo in cui può essersi procurata le feci nel paese d’origine. Ora distruggeremo la merce tramite sterilizzazione e vaporizzazione. Poi le chiederemo di firmare alcuni documenti. Arrivederci”.

La donna questa volta non ebbe il coraggio di replicare.
Ripassò con lo sguardo tutta quella gente, che si era radunata e aveva confabulato come si fosse trovata davanti ad una terrorista internazionale che era stata trovata in possesso di dinamite, e pensò che contemporaneamente nel suo paese, nei grandi e gloriosi Stati Uniti d’America, chissà quanta gente introduceva ogni genere di armi, droga ed altri materiali illeciti, mentre quattro deficienti le facevano la reprimenda per un po’ di cacca di giraffa con cui avrebbe peraltro creato qualcosa di unico, straordinario.
Mentre era avvolta in questi pensieri, l’unico agente che era rimasto a sorvegliarla, un ometto tarchiato strabico, vagamente somigliante a Danny De Vito, le fece segno di seguirlo e, avvicinandosi al suo orecchio, le sussurrò.
“Una collana…ha detto una collana…lei voleva farci una collana...con tutto il rispetto, signora...va bene che siamo tutti con la merda fino al collo…ma doverla pure indossare! Sa che le dico? Secondo me se diceva che erano cioccolatini e se ne mangiava uno per dimostrarlo, la facevano passare”.


ANSA (NAIROBI) - Una cittadina americana che trasportava escrementi di giraffa dal Kenya agli Stati Uniti, è stata fermata alcuni giorni fa all’aeroporto internazionale di Minneapolis, dagli agenti del controllo doganale e di frontiera degli Stati Uniti (Cbp). I funzionari hanno sequestrato e distrutto le feci dell’animale mediante sterilizzazione, come riporta il sito Kenyans, citando le diverse malattie di cui sono affetti gli animali kenioti, come la peste suina africana, la malattia di Newcastle, l'afta epizootica e la malattia vescicolare dei suini.
La donna ha dichiarato di essersi procurata gli escrementi dell’animale, che figura tra le categorie protette, nel paese africano con l’intenzione “di creare una collana”. Per avvalorare la sua tesi, la cittadina americana ha dichiarato di aver già fatto un esperimento simile, a casa sua nello Iowa, utilizzando feci di alce.

TAGS: giraffacontrabbandoraccontisamburuspecie protette

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