EDITORIALE
08-04-2024 di Freddie del Curatolo
Prima l’ingresso nel G20, con i paesi più industrializzati dell’Africa, poi il riconoscimento dell’Unione Europea attraverso la firma di un accordo che, seppur spalmato in più anni, abbatterà molte barriere commerciali, infine patti chiari con la Cina.
Il nuovo corso del Kenya e del governo del presidente William Ruto sta proponendo un nuovo approccio verso i paesi stranieri e, benché il debito pubblico sia sempre molto alto e i prestiti richiesti un po’ a tutte le istituzioni pubbliche e private del globo prima o poi torneranno come boomerang, per adesso qualcuno pensa di poter “alzare la cresta”.
E’ un po’ come quando la banca ti concede un mutuo e ti alza il plafond della carta di credito. E’ chiaro che i soldi devono servire a qualche investimento e che dovrai lavorare duro per restituirli, ma nel frattempo vuoi elevare il tuo status sociale e farti un po’ bello con amici e parenti.
Così il Kenya ora è convinto di poter alzare il livello degli stranieri che vogliono investire o vivere nel paese e lo fa “spaventandoli” subito con aumenti di servizi e costi vivi, che vanno ad aggiungersi all’inflazione e al rincaro di terreni, immobili ed attività.
E’ ufficiale, ad esempio, l’aumento dei permessi di lavoro e di soggiorno, per diventare residenti.
Per un permesso da imprenditore, si è passati da 200 mila scellini per due anni, a 500 mila. Per quello da dipendente, da 400 a 1 milione, per quello da chi vive di rendita, come i pensionati ad esempio, da 300 mila per tre anni, a 500 mila. Aumenti che vanno a sommarsi con quelli di molte tasse, sia nazionali che a livello di contea.
Per molti significa demoralizzare soprattutto chi ha già investito e vive da tanti anni nel paese, chi ha scommesso sulla sua crescita tanti anni fa e adesso, invece di essere premiato dalla scelta lungimirante, viene quasi messo da parte.
A costoro, però, lo stato (dice che) offre un’alternativa, quella di diventare keniani prendendo la cittadinanza.
Il costo non supera i 500 mila scellini, ma chissà come mai non bastano.
Sono scelte da fare, che sicuramente non privilegiano chi in Kenya ha attività stagionali, nel campo del turismo, chi ha affari anche in Italia o chi ha piccole attività che già fanno fatica a barcamenarsi nel crescente e competitivo mercato keniota.
Anche chi ha intenzione di trasferirsi e aprire un’attività non è incentivato da questi aumenti, che peraltro sembrano essere la punta di un iceberg che potrebbe rivelare una filosofia nuova che ben si adegua a quella del Piano Mattei per l’Africa varato dal governo italiano, ovvero: “No ad un nuovo colonialismo e alla logica predatoria dell’occidente, sì a multinazionali, grandi affari e cooperazione che faccia crescere le imprese locali”.
E’ sacrosanto che il Kenya voglia far crescere la propria classe imprenditoriale, e la piccola e media impresa locale, e chi meglio degli italiani possono aiutare il popolo keniano come ha sempre fatto, ma resta da capire che fastidio può dare un ristorante italiano con 50 coperti, che dà comunque lavoro a 20 dipendenti locali e li perfeziona in mestieri ben retribuiti, considerando che più ce ne sono e più lavorano i fruttivendoli, i macellai, i pescatori e i produttori caseari. Non certo solo i proprietari e gli importatori stranieri.
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