EDITORIALE
13-12-2012 di Freddie del Curatolo
Fatalmente, dopo alcuni giorni in cui le granate di stampo somalo non fanno più risuonare la loro macabra eco nelle chiese di Nairobi o del Nord Est del Paese, è la costa keniota ad assurgere ai disonori della cronaca nazionale.
Il Mombasa Republican Council, meglio conosciuto con la sigla MRC, che ricorda più una compagnia di crociere che un movimento extraparlamentare, si è preso una fetta di popolarità, passando in poco tempo dall’essere uno dei tanti piccoli fenomeni stile Lega Nord (richiesta di devolution, voglia di creare una regione autonoma, se non un vero e proprio stato con capitale Mombasa, lasciando di fatto il Kenya senza sbocchi sul mare) ad armare i propri giovani per azioni di violenza nei confronti di politici locali.
Così è capitato che a un raduno voluto dal ministro della pesca Amason Kingi, si sono presentati venti ragazzotti, brandendo panga affilati e urlando frasi tipo “Pwani si Kenya” (la costa non è Kenya).
Giusto i giovanissimi possono scandire slogan del genere, perché le persone di una certa età dovrebbero ricordarsi che invece la costa storicamente è l’esatto contrario, è più Kenya del Kenya stesso. Infatti lo sviluppo del Paese iniziò da Mombasa e il resto del Paese, fino alla prima guerra mondiale, era in funzione di Kampala, in Uganda. Nairobi e la Rift Valley assunsero importanza grazie alla ferrovia costruita dall’Impero Britannico per recarsi da Mombasa (prima capitale del proto Kenya) fino alla capitale dell’Uganda.
Così come per la lingua ufficiale del Paese, il kiswahili, che è sempre stata la lingua della costa, portata dagli arabi, modellata attraverso l’avvento di portoghesi e indiani e codificata addirittura da un missionario italiano, Vittorio Merlo Pick. Kenyatta avrebbe voluto che il gikuyu diventasse lingua ufficiale del Kenya, ma il swahili era già troppo diffuso. Quindi, che la costa abbia bisogno di essere considerata maggiormente dall’attuale classe politica, è sotto gli occhi di tutti, ma da qui a dire che non è Kenya, ne passa. Piuttosto, sulle prime sembrava che questo MRC potesse essere in qualche maniera un movimento culturale, qualcosa che smuovesse le coscienze non soltanto degli abitanti della costa e men che meno solamente degli islamici. Invece come spesso accade è stato preso sul serio soprattutto dai giovani che pensano di risolvere i loro problemi con la violenza.
C’era una sola cosa da fare, da parte delle massime autorità del MRC, quella di prendere le distanze da questi gruppuscoli di giovani esagitati. Invece alcuni hanno pensato di poterne approfittare, di avere un braccio armato o comunque agguerrito che traducesse in fatti la loro voglia di separatismo, in vista delle prossime elezioni. Per agitare le acque (e alla fine fare comunque, volenti o nolenti, il gioco dei conservatori).
L’insediamento di un maasai, Ole Metito, come Ministro dell’Interno e della Sicurezza, è stato un segnale forte del Governo. Ieri la repressione è stata dura. L’autoproclamato leader del MRC è stato arrestato, dopo una sparatoria inscenata dai suoi uomini per difenderne il tentativo di fuga. Conflitto a fuoco con la polizia in cui sono morte tre persone. Il Mombasa Republican Council non ha velleità politiche, non ha a che fare con il terrorismo, eppure ora i suoi vertici sono in galera con l’accusa di incitamento alla lotta armata e slogan contro il Governo. C’è da dire che la loro battaglia è quella di pochi all’interno di Mombasa e Mtwapa, mentre già gli ordinamenti tribali e le associazioni di ispirazione politico-sociale ne stanno prendendo le distanze.
Con la violenza si ottiene solo violenza e la costa ha bisogno soprattutto di quiete, perché la sua risorsa numero uno è il turismo, e chi crea rivolte e turbamento nelle località marittime, di certo non vuole il bene di questa regione, prima ancora che il bene di questo Paese.
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