EDITORIALE
18-02-2025 di Freddie del Curatolo
Se ci fosse un momento buono per puntare sull’Africa Orientale, ed in particolare sul Kenya, per gli italiani, intesi non solo come turisti singoli, ma come “sistema”, tra imprenditoria, professionisti, conglomerati e istituzioni, potrebbe essere proprio questo.
Il congelamento di aiuti dagli Stati Uniti e la riflessione della Gran Bretagna sullo stesso argomento, con Pechino appollaiata che attende sviluppi, potrebbero vederci come il terzo che non litiga con nessuno e godicchia.
L’Italia, partita con il progetto del piano Mattei per l’Africa lo scorso anno, in tempi non sospetti quindi prima del nuovo corso sugli aiuti dettato da Donald Trump, ha già messo sul tavolo la sua politica riguardo alla collaborazione (e non agli aiuti tout-court) con i Paesi africani, di cui il Kenya viene considerato da Roma uno dei cardini.
In effetti, con tutti gli aggiustamenti del caso fatti e da fare, bisogna dare al nostro governo di avere avuto un’intuizione futuribile e giusta, per un nuovo approccio con il continente giovane ed in via di sviluppo. Approccio sul quale sta appunto riflettendo (con la sua impulsività e gli slanci satellitari del suo consigliere principe) anche lo stesso Trump.
Gli Stati Uniti, come abbiamo scritto alcuni giorni fa, hanno congelato gli aiuti all’Africa che venivano organizzati ed inviati tramite l’agenzia USAID. Formalmente si tratta di una sospensione per 3 mesi di tutti gli aiuti e sovvenzioni, entro i quali una commissione bicamerale dovrà valutare quali siano pertinenti, quali necessari e quali invece solo uno spreco di fondi. Operazione quasi impossibile, se si calcola quanti progetti siano in essere e quante organizzazioni nel mondo siano coinvolte.
Sicuramente molti aiuti e diverse partnership non riprenderanno più, e sarà rivista in generale la politica americana degli aiuti. L’esempio italiano potrebbe portare quindi a nuovi sviluppi più consapevoli, mirati ed intelligenti sulla cooperazione, anche se gli americani più che ai Piani Mattei, sono abituati ai Piani Marshall.
Intanto l’Africa, abituata al sostegno di Washington, tra chi ha migliorato le condizioni di vita dei suoi abitanti in diversi settori, anche di vitale importanza, ora piange miseria e lancia preoccupazioni che dalla sanità (Aids e malaria soprattutto) si sono spostati alla sicurezza, con il timore che i tagli di Trump riguardino anche la sicurezza militare e che invoglino i terroristi ad approfittarne.
Nel frattempo, il terremoto USA sull’Africa (altro che We are the world…) sta facendo proseliti. Anche il governo della Gran Bretagna, tramite l’opinione pubblica ed un buon numero di interrogazioni parlamentari, è stato chiamato a rivedere le sovvenzioni al Kenya e alle altre ex colonie. Aiuti che secondo molti inglesi, sono “sprechi” e che con la crisi economica degli ultimi anni non ci si può più permettere di fornire senza la certezza che siano effettivamente utili, specialmente a fermare le migrazioni.
Dopo Usa e Regno Unito, anche l’Europa sicuramente prenderà provvedimenti, ma nel frattempo l’Italia si attesta come partner importante, per colmare alcuni vuoti che ovviamente non significano donazioni a fondo perso e assistenzialismo, ma un nuovo modo di intendere l’aiuto alla crescita del Kenya in particolare, guardando progetto per progetto e seguendo l’andamento dell’economia e l’evoluzione dei suoi settori nevralgici. Il Kenya aspetta proposte e si rende conto che se vengono a mancare gli interlocutori principali, è utile ascoltare anche gli altri. Soprattutto, prima che arrivi l’avvoltoio giallo e faccia le sue proposte “che non si possono rifiutare”.
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