REPORTAGE
20-08-2020 di Freddie del Curatolo
Mi ricordo la prima volta che misi piede a Tezo.
La prima cosa che pensai era il paradosso, da italiano, di quel nome pronunciato con la zeta morbida, Teso. La gente era molto più “pole pole” che a Malindi, gli agglomerati di capanne di fango e makuti erano realtà semiaddormentate all’ombra delle palme e dei tantissimi anacardi.
C’era un capannone dove ammassavano i frutti e li pulivano con una flemma talmente flemma che non riuscivo ad imitarla, se non cadendo in uno stato di trance.
Oggi quel villaggio sulla polverosa asse Kilifi-Malindi è un industrioso borgo percorso dai camion e sulla strada un tempo poco frequentata si affacciano decine di edifici con negozi di ogni genere: ferramenta, fruttivendoli, rivenditori di parti auto, di telefonini e bombole del gas. Più baretti, ristorantini ed altri diminutivi di attività al pubblico.
Questo posto, a differenza di altri, ti dà l’idea che c’è gente che lavora.
La carovana di KEMRI e MADCA pianta le tende a duecento metri dallo stradone, nello spiazzo dove un tempo sostavano i clienti del Sundowner Night Club & Restaurant, ora chiuso per Covid-19.
Una delle vecchie anime del Paese mi dice che un tempo il locale sorgeva esattamente di fronte a questo e che qui sorgeva una delle aziende in cui si sgusciavano gli anacardi.
Alla fine della giornata, gli operai si spendevano buona parte della paghetta in alcool al bar e c’erano anche delle camere spaziose più o meno come gli spogliatoi di una piscina comunale in Italia, dove potersi intrattenere con ragazze dalla dubbia ma quasi obbligata moralità.
Ci sarebbe da sedersi e discutere di come anche qui in trent’anni si sia passati da anacardi e puttane a whatsapp e siti porno free.
Tornando poi a spaccare pietre di corallo nelle cave vicino al mare perché le fabbriche di anacardi, uno dei vanti di Kilifi e dintorno, hanno chiuso e l’edilizia selvaggia invece è aumentata in maniera esponenziale.
Ma non siamo qui per questo, siamo “madbusters”, cacciatori buoni di disabili mentali per mostrare alla gente del luogo che sarebbe ora di considerarli esseri umani e non creature del demonio e di portarli in ospedale senza problemi, per loro le cure sono gratuite, piuttosto che metterli in catene dietro una capanna quando danno fuori di testa.
Bisogna fare in fretta, perché se gli anacardi diventano gigabyte e dimostrano che la civiltà arriva anche qui, non uccide ma fa molti prigionieri, c’è il rischio che qui si passi dalle antiche credenze alla nuova concezione di “diverso” che regola gran parte dell’opinione pubblica.
E i nostri “matti” da indemoniati a vittime delle frustrazioni altrui.
Come dire dalla padella alla brace, anzi dalla sufuria al jiko...
Ricordi e considerazioni sono il leit-motiv della giornata, mentre i cantori Mijikenda si mettono in cerchio ai bordi dello stradone ed iniziano ad intonare il Mwanzele e a ballare.
Le loro percussioni, cocci di vetro dentro una cesta, maracas ricavate da latte di insetticida oltre ai tradizionali chechemeko e ad antichi cerchi di ferro suonati con un batacchio, danno il ritmo alla camminata che li conduce davanti al Sundowner dove inizia lo spettacolo, inframmezzato dalle lezioni dei medici e ricercatori sull’epilessia, il bipolarismo e la schizofrenia.
Come un flauto magico, la musica e le parole incantano e attirano i personaggi più strani e insoliti del villaggio.
In ogni villaggio ce ne sono più di quanti ne si possa immaginare, ognuno con le sue caratteristiche, le sue motivazioni, il suo percorso.
Ed in ogni tappa del nostro viaggio di sensibilizzazione e musica, c'è sempre il "matto" ufficiale, lo "scemo del villaggio" che vuole partecipare alla festa.
Katana ha il sacco stretto forte sotto l'ascella, è tutta la sua vita e lo riempie di certezze, paure, misteri, sogni.
Poi si ferma a parlare con noi, con lo psicologo, con gli artisti.
E alla fine ci lanciamo nel ballo del sacco, salutandoci come amici ritrovati.
Lui con i ricordi nel sacco, io con un sacco di ricordi.
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