EDITORIALE
11-08-2017 di Freddie del Curatolo
C’è una maggioranza assoluta, schiacciante in Kenya che non riguarda i candidati alla presidenza, né piccoli o grossi aspiranti ad altre cariche ben remunerate nelle sedi politiche di Nairobi e delle contee del Paese.
E’ quella che è già stufa di questo bailamme elettorale, che pur avendo votato Raila Odinga, non si riconosce nel suo modo di (re)agire e che ha come interesse primario tornare al più presto alla serenità della vita di sempre, magari con qualche buona notizia: l’abbassamento dei prezzi grazie al ritorno di stabilità dello scellino e uno sguardo più benevolo a categorie di lavoratori e alla povera gente da parte del nuovo Governo.
Le elezioni in Kenya, si è capito da una decina d’anni, anche se dovessero essere pacifiche come nel 2013, non sono una buona cosa: innanzitutto fanno spendere al Paese un botto di soldi, qualcosa di inimmaginabile che depaupera non solo le casse dei partiti e dei loro finanziatori, ma alla fine anche quella di centinaia di candidati minori, anche indipendenti, che coltivano il sogno di una carriera che gli svolti la vita.
In secondo luogo fanno cattiva pubblicità al Paese: mai che si senta dire che le elezioni porteranno cambiamenti in meglio o saranno un lieto evento.
Qui in Kenya lo spettro delle violenze del 2008 aleggerà in secula seculorum.
Proprio per questo, la stampa e i media hanno mesi di tempo per giocare sui precedenti, sulle avvisaglie e soffiare sui fuocherelli appena accesi con le solite notizie a soffietto.
Quando poi appare la minima scaramuccia, l’incidente, la scorribanda nello slum o nella roccaforte del politico trombato (correttamente, scorrettamente questo per chi fa informazione oggi non è più importante), ci si può scatenare.
In questi giorni se ne sono accorti anche gli stessi keniani, quelli che vogliono solo pace e che sperano che tra poche ore si possa chiudere il sipario sul teatrino fastidioso degli scrutini.
Il sito kenyans.co.ke prende ad esempio le testate americane, anche prestigiose come Washington Post e New York Times. Dopo la manifestazione nello slum di Mathare che ha causato 2 morti (un accoltellato per una lite quasi da stadio e l’assassino poi ucciso dalla polizia), mentre altri 2 (bambini, purtroppo) sono stati vittime dei gas lacrimogeni lanciati per disperdere la gente. Di Mathare sappiamo, e sa bene anche la stampa tendenziosa che ogni giorno ci sono crimini e violenze negli slum alla periferia di Nairobi.
A Kisumu, dove l’etnia luo a cui appartiene Odinga è praticamente la sola presente, all’annuncio di brogli del loro leader, ci sono state manifestazioni con giovani infiltrati che hanno lanciato sassi e bruciato pneumatici. Nessun morto.
Media e stampa internazionale ha redatto titoli come “Kenya: violenze come nel 2008” (ricordiamo che morirono 1600 persone e 6000 rimasero senza tetto), “Nuove eruzioni di violenza in Kenya” e “Kenya nel sangue dopo il voto”.
Il tutto guarnito da video che risalgono al 2008, quando le violenze furono serie, e a sommosse dell'anno scorso a Kisumu, per altri motivi.
Oggi anche il Governo ha preso posizione, deplorando il modus operandi della stampa internazionale.
Noi italiani siamo abituati a questo genere di notizie, gli americani anche, ma i keniani assaporano il gusto amaro delle “fake news” per la prima volta, e si rendono conto di quanto una dichiarazione affrettata e non ancora comprovata di un aspirante alla presidenza possa scatenare una campagna di falsità ed esagerazioni contro il proprio Paese.
Non resta che attendere l’epilogo di quello che da un po’ di tempo non è più solo un esercizio di democrazia, ma uno sfoggio di bassi istinti, maldicenze, opportunismo e superficialità oltre che uno spreco di tempo e denaro, che chiamano “elezioni”.
Facciamo nostre le richieste degli osservatori internazionali del voto e le parole di John Kerry: se colui che perderà la sfida alla presidenza avrà reclami da fare, li faccia nelle sedi legali opportune ed inviti i suoi sostenitori alla calma. Che poi, tranne gruppi di facinorosi e di diseredati che magari non lo hanno nemmeno votato perché da tempo non credono più alla politica, né a Dio ed al genere umano, è quello che da domani si augurano tutti. Una vita serena.
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