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Kenya, perchè non aprire agli smart worker?

Nuovo turismo a cui altre destinazioni già aspirano

06-07-2021 di Freddie del Curatolo

Smart Working in Kenya, perché no?
Sarebbe un’ottima soluzione per attirare un nuovo tipo di turismo residenziale (perché sempre di turisti si tratta, all’atto pratico) che in futuro potrebbe rivelarsi una risorsa importante.
Negli ultimi mesi in cui in Europa, grazie soprattutto alla campagna vaccinale, in molti hanno iniziato a vedere i primi barlumi della famosa luce in fondo al tunnel della reclusione, si affacciano ora tanti nuovi dubbi alla luce del sole estivo.
Come si evolveranno certi lavori?
Come reagirà il mercato ad una ripresa lenta e zoppicante?
Quante aziende che non lo hanno già fatto, chiuderanno sedi e uffici per ridurre i costi e non dover licenziare e proporranno ai loro dipendenti il lavoro da casa? Attualmente, approfittando nei mesi caldi in Europa, ci sono già "nomadi digitali" tra Grecia e Spagna ed alcune realtà come l'isola di Madeira hanno già creato vere e proprie community. Nel frattempo sono allo studio anche regimi fiscali appropriati.
Dal nostro pulpito a forma di ufficio informazioni sotto una palma in riva all’Oceano Indiano, riceviamo continuamente messaggi di connazionali che vorrebbero trasferirsi in Kenya dal prossimo autunno e continuare a lavorare “da remoto” riducendo le spese e soprattutto migliorando la qualità della propria vita.
E’ un fenomeno, quello dello Smart Working in luoghi lontani che prima della pandemia appartenevano soprattutto ai sogni di vacanze al caldo e tuffi nel relax o nell’avventura, che oggi viene preso seriamente in considerazione.
Se per il Kenya, spesso indietro nel prendere decisioni che guardino avanti e in maniera globale, si attende l’apertura totale dell’Europa al turismo e una “botta” decisa alle vaccinazioni, altre mete desiderabili si sono già mosse per convincere i neo-lavoratori online a soggiornare nel loro paese, offrendo soluzioni appetibili.
Lo hanno fatto per prime alcune isole dei Caraibi, come Barbados e Bermuda, proponendo visti di soggiorno turistico speciali e prolungati fino ad un anno per chi poteva comprovare un rapporto di collaborazione continuativo con aziende nella sua patria.
Il primo ministro delle Barbados Mottley, ad esempio, ha lanciato il “Welcome Stamp”, un visto turistico gratuito di 12 mesi.  
Nel continente africano le prime a pensarci sono state due realtà piccole e circoscritte, ma anche d’elite come Seychelles e Mauritius che sono anche quelle che avevano i maggiori introiti dal turismo e che per questo stanno ancora leccandosi le ferite dei lockdown pandemici.
Non solo chi vorrà trattenersi fino a due anni nelle isole potrà compilare una richiesta ad hoc, ma verrà anche indirizzato per trovare qualche occupazione di conseguenza, se non ne avesse già una. In poche parole l’idea dei due Governi è: uno smart worker che lavora dalla nostra fantastica destinazione, ne fa inevitabilmente pubblicità e promuove anche il turismo in vista della ripresa dei viaggi in grande stile, che è ancora piuttosto incerta e lontana.
E il Kenya cosa fa?
In questi casi si direbbe “sta a guardare” e sarebbe già una buona notizia, perché osservare significa incamerare dati e conoscenze per prepararsi ad agire.
Non siamo sicuri che sia così, ma abbiamo già intenzione di trasmettere le nostre idee alle autorità competenti.
Molti italiani interessati a trasferirsi sulla costa del Kenya ma anche a Nairobi, ci chiedono in effetti se esistano visti speciali o permessi di soggiorno prolungati per chi dovesse dichiarare di lavorare da remoto per un’azienda italiana.
Per adesso non esistono facilitazioni del genere ed è un peccato, perché indubbiamente gli “stmart worker” possono avere un loro peso nel far girare l’economia locale, orfana di migliaia di turisti.
Innanzitutto, vedendo dai “desiderata” dei richiedenti informazioni, c’è la richiesta di un’abitazione in affitto che nella maggior parte dei casi si tradurrà in servizi inevitabili: personale di casa, utenze di luce ed acqua, spese nei mercati e nei negozi alimentari, ristoranti, trasporti ed altro.
Ma c’è anche la possibilità che una permanenza facilitata e la presa di confidenza con un luogo che si impara a conoscere ed apprezzare, si possa trasformare in residenza e possibili investimenti.
In poche parole, da cosa nasce cosa ed oggi è importante per una destinazione avere più mezzi possibili per attirare cittadini stranieri che portino buona parte del loro reddito in quel paese.
Per quanto riguarda il Kenya, la prospettiva allettante è quella di lavorare al caldo, in ambienti in cui la Natura contribuisce ad una vita salutare, con meno stress e la possibilità di rendere meglio, in termini di produttività e qualità del servizio. Questo riguarda i liberi professionisti ma anche chi ha contratti di lavoro.
Abbiamo ricevuto domande ad esempio da “coach”, ovvero insegnanti di varie discipline e settori: dalla finanza allo yoga, dall’informatica alle lingue. Ma anche chi ha intenzione di allestire uno studio di registrazione musicale virtuale, o di post-produzione video.
Queste le richieste principali:
Possibilità di visti prolungati
Poter essere riconosciuti come lavoratori “ponte” e non come chi ruba stipendi o professionalità alla popolazione locale o si mette in concorrenza con mercati esistenti senza pagare le tasse.
Bontà della connessione internet.
Affitti.
Sicurezza.
Nel caso dei visti, per adesso non c’è nessuna alternativa al visto turistico di 3 mesi (costo 40 euro) prolungabile per altri 3.
Ovviamente non è possibile affiancare nessun genere di attività remunerativa in loco, se non attivando le pratiche per un permesso di lavoro, con tutti i paletti del caso.
Per quanto concerne internet,  in Kenya, come molti sanno, c’è il 4G ma la connettività non è sempre costante e soprattutto gli abbonamenti illimitati sono molto cari, a secondo della compagnia si va dai 50 ai 90 euro al mese. Per chi non ha bisogno di scaricare file pesanti o di fare troppo streaming, i pacchetti mensili o trimestrali da 15 a 30 giga sono già più economici (dai 10 ai 20 euro al mese).
Per l’aspetto che chiama in causa i prezzi delle case in affitto, non si pensi che il Kenya sia ancora quel paradiso in cui con 200 euro al mese si può vivere in un cottage in riva al mare.
Se esistono ancora posti dove questo avviene, è capace che non vi sia non solo internet, ma anche luce elettrica. Se ci si accontenta di vivere anche in zone distanti dal mare o in appartamenti non proprio immersi nella natura, le spese possono essere ridotte.
Per quanto riguarda Nairobi, invece, a fronte della minor spesa il problema principale diventa proprio la sicurezza. In quartieri dove gli affitti sono più economici, spesso c’è meno tranquillità e bisogna fare più attenzione, specie se per il lavoro che si fa, si hanno apparecchi tecnologici come computer, fotocamere ed altre strumentazioni di valore.
Non occorre, per un paese come il Kenya, essere pronti ad affrontare questo nuovo fenomeno creato dai tempi moderni e accelerato dalla pandemia: basta volerlo e organizzarsi di conseguenza, visto che gli effetti (se ben direzionati e controllati) non possono che essere d’aiuto all’economia e anche al turismo.
 

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