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07-07-2022 di redazione
Il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite ha illustrato la gravissima situazione del Kenya, alle prese con una delle peggiori crisi di insicurezza alimentare degli ultimi cinquant’anni.
Ma non c'è bisogno di attendere i dati delle organizzazioni internazionali, basta essere sul posto, girare tra i villaggi, ascoltare le parole della povera gente, e ci si rende conto facilmente di come la situazione stia velocemente peggiorando.
La congiuntura di siccità, avversità climatiche, crisi internazionale ed inflazione da debito pubblico nel Paese sta mettendo in ginocchio almeno otto contee, specialmente quelle in cui si vive quasi esclusivamente di agricoltura e allevamento.
“Patiscono la fame mentre vedono morire il bestiame – è l’amaro commento del PAM – prevediamo che la resa dei raccolti per la stagione in corso sarà pari a meno della metà della media quinquennale”.
Le contee delle zone semiaride, Lamu, Kilifi, Taita Taveta, Tana River, Turkana, Samburu, West Pokot, Baringo, Kajiado, Narok, Laikipia, Nyeri, Embu, Meru, Isiolo, Wajir, Garissa e Mandera, sono praticamente senza piogge, o con piovaschi limitatissimi, dallo scorso anno quando già le precipitazioni erano state sotto la media, e si trovano in una situazione terribile che potrebbe precipitare in un’insicurezza alimentare senza precedenti.
Secondo gli studi più recenti, circa tre milioni di persone vivono dallo scorso febbraio ben al di sotto della soglia del nutrimento quotidiano necessario.
Questo dato è frutto della diminuzione dei raccolti e della mancanza di lavoro, con numerose piccole e medie imprese che non sono più ripartite dopo la pandemia.
La produzione di mais, il più diffuso sostentamento del paese, è scesa del 13% ed il costo del prodotto di base del Kenya, l'ugali, è aumentato del 100%, con il prezzo della farina di mais che ha toccato i massimi di 240 scellini il mese scorso.
Senza contare gli effetti collaterali dell’invasione della Russia in Ucraina, che ha portato all’aumento dei fertilizzanti, degli insetticidi e di altri beni di prima necessità per la produzione agricola. Con il rischio che la povertà estrema e la fame costringa, come già sta accadendo, famiglie contadini che da generazioni vivono e si alimentano con il lavoro della terra, svendano i loro possedimenti nella speranza di superare questo difficile momento o decidano di utilizzare la terra per altre attività. Chi disbosca foreste per vendere legna e carbone, chi brucia appezzamenti per costruire o affittare ad industrie.
Il Governo ha ricordato la recente mossa di sgravi fiscali per chi acquista fertilizzanti ed altre misure che vanno incontro alle esigenze degli agricoltori.
Fatto sta che nel bilancio 2022/23, al settore sono stati assegnati solamente 66,8 miliardi di scellini, pari a meno del due per cento del bilancio totale.
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