Tra le centinaia di turisti in vacanza a Watamu e tra i residenti e i keniani stessi, compresa la comunità di origine britannica della località, c’è una muta incredulità, unita a grande sconforto.
La tristissima e sfortunata vicenda della turista italiana Michela Boldrini aveva emozionato e smosso tutti, tanto che da tre giorni era iniziata una catena di solidarietà via social che, tra inevitabili fake news e il classico “ognuno dice quel che gli pare” aveva portato residenti e turisti all’ospedale Aga Khan di Mombasa per donare sangue per le trasfusioni necessarie, vitali per la ragazza che ogni giorno si aggravava.
A quanto abbiamo appreso da fonti della struttura sanitaria, Michela Boldrini aveva sviluppato infezioni e nelle ore antecedenti alla sua morte, anche un arresto cardiaco.
Intanto una famiglia di Watamu aveva messo a disposizione perfino un elicottero per fare la spola tra Watamu e Mombasa e portare donatori di Rh negativo, il gruppo sanguigno di Michela, mentre quelli che ieri si erano presentati all’Aga Khan avevano alimentato ancora per un giorno la fiammella della speranza.
Il portale degli italiani in Kenya Malindikenya.net ha ricevuto decine e decine di offerte di donazioni, sperando si potessero effettuare anche a Malindi e Watamu, ma come ci era stato trasmesso indirettamente dall’assistenza Alpitour, era possibile donare sangue solo nell’ospedale di Mombasa.
Nel dramma della scomparsa di una giovane turista, unica sfortunatissima ustionata grave tra 182 turisti ospiti del Barracuda Inn, dobbiamo registrare l’importante, spesso fondamentale, solidarietà tra chi vive e frequenta Watamu che solleva un po’ da altri episodi meno edificanti e più preoccupanti, come lo sciacallaggio durante l’incendio dei due resort, da un certo tipo di “persone” che, nonostante spesso la ricevano, la solidarietà non sanno neanche dove stia di casa. Per fortuna i keniani non sono affatto tutti così, ma purtroppo quel “tipo di persone” affollano le spiagge delle località turistiche.