Racconti

SATIRA

La mia prima volta nel centro di Malindi

Un'altra storia dell'amico bergamasco

22-07-2011 di Camillo Vittici

Appena sono entrato per la prima volta nel centro di Malindi ho avuto la netta impressione che fosse leggermente diverso da quello di Milano.
Intanto non ci sono semafori cosi’ non ti tolgono i punti dalla patente.
Pensavo di arrivarci con la metropolitana che va sotto terra e invece ne ho presa una che va sopra terra pero’ con un vagoncino solo. Qui si chiama Tuc Tuc. Comunque la metropolitana mi sembra che la stiano facendo perche’ sulla strada che va dal Monumento a Vasco di Grana all’inizio del paese si vedono bene le grandi buche che hanno incominciato a scavare.
Se il Tuctuchista non ci sta attento si rischia di precipitare dentro e non so se da queste parti c’e’il Gruppo Speleologico della Val di Scalve che viene a tirarti fuori, della serie Viaggio nel Centro della Terra senza ritorno che la maestra ci ha fatto leggere la terza volta che ho fatto la seconda. Diventano anche un bel disturbo perche’, avendo io la prostica ingrossata come un melone, a ogni scossone mi vengono i dolori alle parti intime davanti.
Pero’, se riesci fortunosamente a schivare gli scavi della metropolitana, centri violentemente quei dossi che attraversano la strada ogni quattro metri che sono cosi’ alti che per superarli bisogna essere degli scalatori della Cornagera della Val Seriana. Mentre il Tuctuchista stava cantando beatamente la Lalla Salama non si e’ accorto di essere a ridosso di uno di questi e l’ha centrato in pieno a velocita’ da Formula Uno.
Quello che, in un secondo e 10 decimi, e’ capitato si puo’ riassumere in... pilota catapultato fuori dal vetro anteriore con schegge dello stesso che sono andate ad infilarsi rispettivamente 1) Nell’occhio di un Masai che stava vendendo le sue perline a lato della strada facendogli fare un salto triplo carpiato piu’ alto di quello che fa la sua tribu’ al mercoledi sera al Coral Chi... 2) Nel sedere a panettoncino di una bellissima fanciulla locale alta due metri e dieci che stava passeggiando mano nella mano, con angelica espressione di innamorata persa, con un turista di passaggio alto un metro e quaranta (a guardarli sembrava di vedere l’articolo “il”) costringendola a grattarsi di nascosto poco elegantemente il culo che qualcuno poteva pensare che avesse le morroidi infiammate e che grattarsi proprio li’ non stava bene. 3) Centrato in pieno un aborigeno di qui senza un braccio che ancora non so se era gia’ cosi’ o e’ stata la scheggia del vetro a portarglielo via. 4) Il mototre e’ schizzato via come un proiettile centrando un baracchino con frutta di stagione riducendola all’istante a marmellata multigusti che, sbrodolando sulla strada, ha fatto cadere ripettivamente due Pota Pota, ribaltare tre Tuc Tuc, zigzagare una macchiana fuori strada che e’ andata a finire veramente fuori strada e azzoppare un asino con carretto pieno zeppo all’inverosimile di macuti. L’asino l’hanno dovuto abbattere sul posto perche’ i suoi alti ragli dispurbavano i residenti della zona che stavano facendo la pennichella o cose simili. Il passeggero (che sarei io) si e’ritrovata la testa infilata fra le sbarre del soffitto del trabiccolo. C’e’ voluto l’intervento dei Vigili del Fuoco, prontamente e immediatamente accorsi dopo 50 minuti con tre camion, due pompe e tre scale, per estrarlo. Siccome l’operazione si era dimostrata subito difficile se non impossibile, il disgraziato (sempre io) e’ stato portato sul camion di detti pompieri a sirene spietate all’ospedale piu’ vicino sempre con il collo incastrato nella griglia di ferro appositamente staccata con la fiamma ossidrica il cui calore, trasmettendosi al resto del ferro, ha provocato una ustione di decimo grado al collo del malcapitato (sempre io) al quale rimarra’ una cicatrice indelebile per tutta la vita. Con un bel tatuaggio ci faro’ disegnare due fiorellini di modo che sembrera’ una artistica collana. Comunque devo dire che le buche della metropolitana sono servite a qualcosa. In uno scossone piu’ forte degli altri la mia testa si e’ di colpo sfilata dalla griglia lasciandoci solo qualche brandello di orecchio sanguinolento per parte. Che mal d’Africa che mi sono preso! I resti del motore e delle lamiere del Tuc Tuc sono stati prontamente raccolti da gente di passaggio e venduti al mercato nero dalle parti di Mambrui.

Comunque in ospedale ci sono arrivato. Il pronto soccorso era pieno di una ventina di fondi (qui i lavoratori li chiamano cosi’). Da non confondersi con i fondi di galera che sono ricoverati a Mutancani). Tutti venti i fondi stavano pitturando le pareti che sembravano una carta geografica in bianco e nero con le citta’ segnate in rosso corrispondenti ai segni del sangue delle zanzare spiaccicate con mani, ciabatte e utensili simili. Uno che metteva il colore bianco tendente al grigio sporco nella tolla, uno che la sollevava da terra, uno che intingeva i pennello, l’altro che lo passava all’imbianchino, l’imbianchino che dava due pennellate alla parete appollaiato su una scala di legno con un piolo si’ e due no che pero’ ci saliva con l’agilita’ di una scimmia dal culo pelato della Savana del Parco Schiavo, un altro che gli prendeva il pennello e lo passava a quello accanto che a sua volta lo dava al primo che intingeva il pennello nella tolla e via dicendo. In 40 minuti avevano gia’ dato n. 8 pennellate in in verticale e n.6 in orizzontale. Forse era meglio prima. Insomma, non potendomi ricoverare al pronto soccorso per via dei fondi, mi hanno portato nel reparto di ginecologia, l’unico in funzione a quell’ora. Il dottore, extracomunitario anche lui con laurea presumibilmente presa in Somaglia (chiamata cosi’ perche’ li’ si somigliano tutti), viste le mie orecchie sanguinolente prende il suo strumento ginecologico e mi fa un’esplorazione orecchiale. Magari pensa a un probabile ciclo mensile venuto in sede estrauterina. Spero non mi dica che sono incinto. Comunque credo di non esserlo perche’ la nausea non ce l’ho. Ho solo un mal di testa della madonna. Magari qui i bambini nascono da un orecchio. I gemelli da tutte e due. Mi dimettono dopo due ore e 600 scellini da pagare all’istante che se non paghi ti tengono nella stanza blindata con tanto di inferriate arrugginite per tutta la vita a pane e acqua. L’acqua deve essere del pozzo accanto da dove si sentono le grida delle rane toro e dei rospi reali che fanno piu’ rumore di una locomotiva a vapore della linea Bergamo-Ponte di Legno. Chiedo se lo passa la mutua, ma ho l’impressione che qui non sia valida perche’ un infermiere si precipita al compiuter per cercare su Goglo di che cosa si tratta. Domando allora se accettano la Carta di Credito. Mi rispondono che qui non sanno cosa sia, penso che conoscano solo quella igienica che ho visto nella tualetta quando, per la paura, ho preso una tremenda scarica di dissenterite. Carta igienica di colore marrone. Ho chiesto perche’ e mi hanno detto che la usano per i neri (di quella bianca per i musolungo erano momentaneamente sprovvisti) e poi e’ piu’ pratica perche’ tiene meglio lo sporco in caso di riciclaggio. Ma intuisco che qualcuno non conosce neanche questa vedendo le ragnatele di ditate marroni che ornano le pareti. Pagato il mio conto al ginecologo mi sono incamminato verso il centro della citta’, ma questa volta a piedi. Non si sa mai. Tutti guardavano le mie orecchie dove in ambedue mi erano stati applicati due grandi ed evidenti pacchi di ovatta tant’e’ vero che un bambino biondo e bianco che passava da quelle parti con la sua mamma si e’ messo a gridare “Mamma, guarda Topolino!”. A quel punto me li sono strappati via e li ho gettati nel cassonetto. Devo essere stato il solo che ha usato il cassonetto perche’ era completamente vuoto. In compenso tutte le carte erano state diligentemente messe ai bordi della strada per far vedere dove finiva l’asfalto.

Avevo voluto venire in centro perche’ volevo comperare i sovenir di Malindi che mi hanno detto sono fatti con perline dei Masai. Il mio Amico Filippo, che e’ stato qui l’anno scorso nella stagione delle piogge perche’ si paga di meno, mi ha istruito su tutto, soprattutto sulle compere. Mi ha detto che devo contrattare. Non so se qui fanno questi contratti. Comunque spero che per comperare le perline non ci sia bisogno di un notaio con quello che costano. I notai, non le perline. Proprio li’ davanti al Seve to Seve noto una bancherella con in parte un Masaio. Vuoi vedere che qui posso fare la spesa dei sovenir? C’e’ di tutto e di tutti i colori dell’arcobaleno e qualcuno di piu’. Non ho che l’imbarazzo della scelta. “Mi scusi signor Masaio, posso vedere la sua merce?”. “Acuna patata! Vedere non costa niente”. Gli dico che non voglio comperare le patate perche’ nel Villaggio dove abito e’ tutto inclusivo e gli indico le cosine colorate. Anche lui e’ tutto colorato. Ha un vestito tipo abito da sera che porta con eleganza del luogo, tiene in mano un bastone probabilmente per tener via le mosche, attaccati alle orecchie due anelli che sembrano cerchioni di bicicletta, ciabatte con suola di copertone di camion e un sacco di braccialetti e collane che si e’ messo ai polsi e al collo invece che metterli in vetrina perche’ la vetrina non ce l’ha. Il mio amico Filippo mi aveva detto che devo tirare sul prezzo perche’ loro hanno il vizio di fregare i turisti. Allora... facciamo il punto... La collana di perline variopitturate per la Teresa che e’ andata a Igea Marina e che poi le sue amiche creperanno di invidia, un filo di palline nere che sembrano un Rosario, pero’ senza la croce in fondo, per il Curato della mia parrocchia che si intona con la tonaca, un anello di plastica rosa e marrone per l’amica della Teresa che ci fa tanti favori quando ci presta il sale e lo zucchero quando a casa rimaniamo senza e che poi dira’ ma che bravo tuo marito, cosi’ continuera’ a prestarceli. Un altro braccialetto per me con su scritto il mio nome cosi’, se mi perdo, sanno subito chi sono senza telefonare a Chi s’e’ visto s’e’ visto. Dopo aver scelto tutti questi meravigliosi regali aborigeni chiedo quanto fa. Mi dice 1100 scellini. Allora comincio a tirare sul prezzo come mi aveva raccomandato il mio amico Filippo. Tiro io che tira lui, dopo cinquanta minuri, lo prendo per sfinimento. Pur di convincemi a togliere il disturbo, perche’ nel frattempo sono arrivati altri clienti, mi lascia il sacchettino e aggiunge anche 100 scellini. Non avrei mai immaginato che qui non solo puoi comperare, ma ti pagano anche. Comunque non mi sono azzardato a chiedergli lo scontrino fiscale per il valore degli oggetti comperati. Magari l’avessi fatto! Al posto dei 100 scellini forse me ne avrebbe dati 200!

Adesso mi scappa proprio di vedere cos’e’ questo famoso Casino di Malindi. Il mio papa’ una volta mia aveva detto che ai suoi tempi da noi, circa 50 anni fa, ce n’erano due. La Villa delle Rose e il Diciotto. Qui, che sono piu’ indietro di noi, ce n’e’ solo uno. Lui al Casino ci andava prima di sposarsi a vedere le donne nude o quasi. Allora costava solo due lire o dieci lire a secondo di cosa facevi e quanto tempo ci rimanevi e in piu’ dovevi pagare anche l’uso del sciugamano, ma quello costava poco. Con quelle tope che ho visto girare nel villaggio, tutte fidanzate con turisti, immagino cosa avrei tovato li’. Magari il sciugamano era gratis per far entrare piu’ clienti. A dire il vero avevo gia’ notato un movimento di donne bellissime aborigene sculettare sui marciapiedi. Dire marciapiedi e’ un po’ esagerato... sono una specie di sentieri a lato della strada fatti apposta per non essere spiaccicati da qualche camion di passaggio che qui vanno a sinistra invece che dalla parte giusta. Quando piove pero’ devi usare la piroga o una canoa locale. Comunque a guardarle ci lasci gli occhi. Belle, fascinose; quando camminano hanno un bellissimo andar di corpo, gambe tipo colonne della Piazza di San Pietro, occhi grandiosi con palpebre lunghe come i ventagli che usava la mia nonna Armida prima che inventassero i ventilatori, denti cosi’ bianchi che piu’ bianchi non si puo’ (magari se li lavano col Spic e Span), la pelle di velluto ( magari se la lavano con il Coccolino ammorbidente), culo a mandolino ascendente panettone e scarpe con tacco di 12 centrimetri che se per caso cadono di li’ si sfracellano sull’asfalto. Probabilmnte devono appartenere alla tribu’ dei Vatussi, quelli che con un salto guardano negli occhi le giraffe e che arrivano alle orecchie degli elefanti come diceva una canzone dei miei tempi. Probabilmente li’ al Casino mi stavano apettando perche’, ancora prima di entrare, c’e’ un ingomo che ti apre la porta ancora prima che tu allunghi la mano. Si vede che qui quelle automatiche che ci sono da noi all’Iper non le hanno ancora inventate, ma tanto il personale costa poco. Prima di passare nel salone principale sputo sulle mani e me le passo nei capelli per mettermi in ordine e mi passo la lingua sui labbri perche’ siano piu’ sensuali e erotici. Altra passata di sputo sulle orecchie per togliere i residui di sangue che magari il ginecologo mi ha lasciato dopo la visita interna. Controllo di avere in tasca il preservativo. Il mio amico Filippo mi ha detto che e’ meglio premunirsi per non correre il rischio di prendere l’AIDIS (o si chiama AIAX?) e altre malattie virili equivalenti tipo morbillo, vaccinella e tifo intestinale. Adesso sono pronto per affrontare la goduria sessuale al Casino di Malindi. Se lo sapesse la mia Teresa non esiterebbe a farmi la famosa operazione del Balzac, Bal... Zac! Ma so di certo che anche a Igea Marina fanno queste cose; non solo si fanno il bagno, ma anche il bagnino. Ma la mia Teresa e’ diversa come sono tutte diverse da tutte le altre le morose dei turisti italiani a Malindi. Entro a passi decisi e mi preparo alla scelta di una delle gazzelle locali. Per alcuni attimi rimango rincoglionito perche’... perche’... “Ma dove sono tutte le donne?” chiedo a un distinto signore con zoccoli da cui quello destro lascia uscire da un buco il ditone del piede con unghia da leopardo, braghe fino al ginocchio con vistose rammendature e due pezze sul culo di un colore quasi uguale, camicia bianca con sbrodolature di ogni colore (quelle del caffe’ e del pomodoro si notano maggiormente). “Quali donne?”. “Quelle che di solito si trovano nei casini...”. Quello, che di Casini diveva intendersi, deve aver intuito che qualcosa non andava. “Vedi caro mio, qui non c’e’ il Casino che forse volevi tu, ma c’e’ il Casino’ con l’accento sulla O”. A parte il fatto che mi e’ scocciato che mi abbia subito dato del tu dato che probabilmente non eravamo neanche lontani parenti, ma non avrei proprio pensato che una O con l’accento avesse cambiato totalmente la destinazione d’uso. Comunque, per non fare la figura dell’imbranato totale della serie andavano per cuccare e rimasero cuccati e per tenere un contegno naturale di profondo e assiduo conoscitore del luogo, mi sono avvicinato a quelle ruote colorate che continuavano a girare le palle. La gente metteva sui numeri del tavolo delle tavolette rotonde finche’ l’omino nero con la divisa di Generale di Brigata li’ davanti diceva una frase mi sembrava francese (Quante lingue sanno gli aborigeni!) e che tutti si fermavano di colpo come avessero paura di prendere la scossa. Qualcuno ci guadagnava e si affrettava a ritirare le tavolette colorate, ma la maggior parte delle volte l’omino era piu’ veloce di loro e, con una specie di rastrello, si pappava tutto lui. Io non mi sono fidato a giocare non solo perche’ il mio amico Filippo non me l’ha insegnato, ma anche perche’ a Igea Marina, dove di solito vado a passare le vacanze e che e’ piu’ grande di Malindi, queste cose non le hanno ancora inventate.

Il giorno prima di partire e lasciare il globulo emisferico sudista sono andato di nuovo in centro di Malindi per un caffe’ espresso al Care Blisse che costa meno che Coral Chi. La’, per ogni cosa che prendi, devi mettere la firma autografata su un taccuino con tanto di numero della camera. Ma non era tutto inclusivo? Solo l’ultimo giorno mi hanno fatto notare che, se fossi andato al bar centrale a consumare, non avrei pagato una madonna, ma a quell’altro, a soli cinque metri con le poltrone al posto delle sedie cosi’ scomode che se ti sedevi dovevano usare un muletto per tirarti fuori, non c’era niente aggratis. E io, il pirla, andavo sempre al secondo! Ma questa volta in centro sono andato a piedi perche’ la metropolitana non l’avevano ancora terminata; in compenso gli scavi erano ancora piu’ profondi e mi sono guardato bene dal prendere il Tuc Tuc vista la tragica esperienza di qualche giorno prima. Mi ha accompagnato il mio amico bresciano di Bagolino e, lui che sa tutto e che e’ arrivato fino alla terza media, mi ha spiegato che molto probabilmente il mio autista era troppo debole perche’ da queste parti una volta all’anno fanno il Rataplam e non mangiano 24 ore al giorno, meno la domenica e le feste comandate e non fanno sesso piu’ di tre volte per notte. Chissa’ quante volte lo fanno quando finisce il Rataplam! Ho sentito dire che, per rifarsi del tempo perso, il resto dell’anno lo fanno tre volte all’ora con tre donne contemporaneamente, sempre escluse le domeniche e le feste comandate. Inoltre non possono mangiare la porchetta e bere la grappa. Per me quello non era per niente debole, ma deve essersi fatto una decina di birre prima dei pasti e dopo i pasti grappino compreso. Comunque devo ammettere che questi devono essere posti dove devono essere tutti ricchi. Non ho mai visto tante banche come a Malindi. Davanti a una c’era un sacco di soldati con tanto di mitra, fucile a baionetta, bombe a mano e bazuca. Qualche volta, quando c’e’ piu’ ressa, mettono anche un carro armato con cannone calibro 40. Sempre il mio amico Filippo, quello di prima che sa sempre tutto, mi ha spiegato che quella e’ la Wester Unione. Ho dato uno sguardo dentro e ho visto due file lunghe lunghe di uomini e donne locali tutti giovani e di gentile aspetto anche se neri che a me sembrano tutti uguali. Mi ha detto che qui arrivano per posta celere estracomunitaria i soldi dei vari morosi e morose italiani che hanno qui lasciato la persona amata, distrutta, piangente e singhiozzante e fedele fino al loro ritorno. Siccome spedire fin qua pacchi di biscotti, caramelle, lecca lecca e alimenti vari costerebbe un casino sia via nave che aeroplano, mandano direttamente i liquidi cosi’ se li comperano qua che magari costano anche meno. Ho visto una bellissima sventola, quella come le altre che ho spiegato prima con le gambe lunghe e nere e culo in fuori, che ha ritirato un bel pacchetto di soldini. Lasciato lo sportello si e’ messa di nuovo in fila e ne ha ritirati altri. Nel giro di 30 minuti ho contato 18 passaggi e a ogni passaggio le crescevano le tette per il fatto che tutte le volte se li infilava li’. Probabilmente lo faceva per non pagare le tasse. Pero’ la prossima volta che vengo a Malindi me la faccio anch’io una morosa come queste, ma prima devo controllare che sia onesta, fedele, religiosa, preferibilmente cattolica e apostolica (ma mi frega un cazzo anche se e’ mussulmanica), timorata di Dio e soprattutto vergine. Acuna patata! Chissa’ quante ne trovo cosi’!

TAGS: Camillo VitticiRacconti Malindi

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