Arte e cultura

INTERVISTE

Il Kenya di Michael Soi tra ironia e (sur)realismo

Incontro a Nairobi con l'originale e celebrato artista

12-01-2024 di Freddie del Curatolo

Ci sono pochi artisti che sappiano raccontare il Kenya e la sua gente come riesce a fare Michael Soi.
Il suo sguardo umoristico, a tratti sarcastico sulla società di uno dei paesi più vibranti e allo stesso tempo in equilibrio instabile tra sviluppo e tare sociali congenite, trova felice sfogo nella pittura che strizza l’occhio alla pop art, al fumetto e al surrealismo, con un messaggio chiaro: la satira non è una denuncia, ma un modo per guardarsi dentro con disincanto e senza perdere la voglia di riderci sopra.
Abbiamo incontrato Soi nel suo studio-giardino a ridosso del centro di Nairobi.

Qui l’artista, poco più che cinquantenne, non ha solo il suo workshop, ma ospita altri artisti della capitale, coltiva erbe ed ortaggi e al centro dello spazio creativo c’è un grande barbecue che diventa il fulcro di incontri, discussioni e creatività all’insegna del godere della vita non senza spirito critico e sguardo lucido al presente.
“Al di là delle mie opere – ci dice mostrando la sua produzione recente – credo che il mio lavoro principale sia quello di documentare il paese reale in questi anni. Una sorta di diario che un domani potrà essere utilizzato per dire – ah, ecco cosa accadeva a Nairobi e dintorni - Fondamentalmente, da quando in Kenya si è formata la classe media, è evidente che gli uomini si facciano dominare dal sesso e dall’alcool, e le donne coltivino il loro potere di fascino e cerchino di monetizzare”.

Nella gioiosità di corpi femminili sinuosi, sguardi fatali, labbra pronunciate e ciglia finte, c’è il circolo vizioso e chiuso dei soldi che mangiano soldi in un paese ricco ma in mano alla corruzione.
Il successo del “documentarista col pennello” Michael è arrivato una decina d’anni fa con la saga “China Loves Africa” in cui il binomio denaro-neocolonialismo viene descritto con irresistibili tratti grotteschi da cartone animato, attraverso le solite chiavi di lettura. Grazie al successo della sua critica sociale, negli anni successivi ha esposto in Giappone, Corea del Sud, Ghana, Danimarca, Svizzera, Sudafrica, Regno Unito, Nigeria, Etiopia e ha partecipato anche a collettive negli Stati Uniti e nei Paesi Bassi.

Da lì il pennello di Soi è stato identificato a livello internazionale come la penna di uno sferzante scrittore (sul genere di Binyavanga Wainaina, prematuramente scomparso) o di un cronista indipendente di quelli che però, ahimé, mancano terribilmente a questo paese, anche perché rischierebbero la vita come già successo in passato a blogger che stavano prendendo troppo piede.  
Dopo la lingua insinuante del dragone cinese, sono arrivati vignette-affresco che alludono alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale e tra le bellezze svestite e le bottiglie di Tusker, i volti di Putin e Biden si confondono con quelli di ricchi keniani che alla fine si spartiscono, senza gelosia, la stessa donna di nome Kenya.

“Le decisioni più importanti di questo paese vengono prese nei nightclubs” scriveva James Ellroy dell’America anni Sessanta. Sicuramente chi si è spartito e ha svenduto il Kenya negli ultimi anni, qualche locale notturno di Nairobi lo ha frequentato.
“Questo non è un paese abituato alla satira sociale, ma nemmeno a quella di costume – spiega Soi – spesso c’è gente che mi chiede come mai io provi gusto a prendere in giro i miei connazionali. Non capiscono che è guardando e comprendendo i nostri difetti, ma anche scherzandoci sopra, che possiamo capire meglio la nostra società e sviluppare gli anticorpi per non farci soggiogare da chi approfitta delle nostre debolezze per fare i suoi interessi”.

L’ultimo grande quadro che abbiamo davanti, mentre parliamo di letteratura contemporanea, economia africana, illustrazioni, calciatori italiani degli anni Novanta e buona cucina, mostra in primo piano le grazie di una stripteaser che ha avanti a se una folla di uomini abbagliati da tanto spettacolo, il cui sguardo ebete e voluttuoso dice tutto.
“Per raccontarle, bisogna viverle”, mi diceva uno dei più grandi scrittori keniani, Meja Mwangi, che per primo ha narrato le pieghe nascoste della vibrante “Nairobbery” di River Road, dove nei locali notturni si incontravano indifferentemente registi, poeti, malviventi, politici, ubriaconi british, donne di malaffare, artisti talentuosi ed imprenditori senza scrupoli.

“E’ vero, se non frequenti questi posti non puoi sapere dove sta andando una parte del paese – ammette Soi – io ogni tanto ci passo le serate con gli amici e mi godo l’altro spettacolo, quello che poi spesso anima i miei quadri”.
Provocanti, allusivi, divertenti: sono i lavori che gli hanno dato fama e visibilità, ma Michael non si è fermato alla logica commerciale del riprodurre sé stesso all’infinito. Ha intrapreso altri temi ed opere seriali parallele, dalle celebri ragazze con le parruccone anni Settanta, ai pescatori di Lamu, fino al più recente in cantiere e più visionario: un lavoro carico di metafore sulle donne eroine e “regine” di una nazione che ha dimenticato la società matriarcale di un tempo ed ha a che fare, come l’Italia, con un numero di femminicidi in preoccupante aumento.

Non si ferma e dipinge tutto quello che gli capita sotto tiro: sgabelli, panche, muri, borse e borsette.
“In realtà la mia idea non era quella di creare gadgets, anzi le prime borse erano state incorniciate, proprio per differenziare l’opera d’arte dal possibile utilizzo commerciale e dal merchandising”.
Ma cosa in Kenya, oggigiorno, non ha un fine commerciale?
Cosa non è in vendita?
Per fortuna, nel caso di Michael Soi, lo sono anche l’ironia, l’intelligenza e l’amore consapevole per la sua terra.

 

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